“Il grosso delle vicende di pittura “astratta” in Italia si colloca negli anni fra il 1932-34 e la seconda guerra mondiale: esplosione, ma anche adeguata sistemazione di questioni di linguaggio e stile, che ha una sua compattezza, legata alle occasioni in cui gli “astratti” ebbero modo di d’esporre e di mostrarsi, ma è assai meno unitaria per condizioni e motivazioni dei singoli adepti (…)”. (Paolo Fossati, Astratti (e non figurativi) anni Trenta, in Arte Italiana Presenze 1900-1945, 1989).
Dunque, con l’astrattismo non si può parlare di un movimento unitario poiché gli artisti singolarmente mostrano orientamenti differenti. Ciò che li unisce sono o le affinità di intenti in cui si nota la comune tensione moderna verso una reinterpretazione originale della cultura tradizionale, o la scelta del linguaggio formale adottato. È in Lombardia, tra Como e Milano, dove emergono le prime prove di un’arte non oggettiva, frutto di una elaborazione profonda che si inserisce nel dibattito internazionale delle avanguardie artistiche. A Milano, nel 1934, la Galleria Il Milione organizza la personale di Kandinsky diventando così il punto di ritrovo di un gruppo di artisti molto eterogeneo, che annovera tra gli altri Mauro Reggiani, Lucio Fontana, Atanasio Soldati, Osvaldo Licini e Luigi Veronesi. Il gruppo guidato dalle teorie di Carlo Belli espresse nei testi “KN”, sottolinea l’importanza di realizzare un’arte priva di fini illustrativi e cronachistici. Dopo la seconda guerra mondiale l’Astrattismo diventa il tema centrale dell’arte contemporanea, in un susseguirsi di fenomeni nei quali la scelta astratto-figurativo supera l’aspetto estetico-formale per analizzare il problema più vasto dei rapporti tra arte, società e politica.