Artemisia, Sofonisba e Porzia sono figure del mondo antico, emblemi del coraggio, della fedeltà e dell’affermazione della propria volontà, fedeli ai valori del loro tempo. La loro iconografia si intreccia attraverso molteplici affinità, sovrapposizioni e incertezze.
Artemisia, prostrata per la perdita del marito, il re Mausolo, fa costruire un eccezionale monumento sepolcrale, il Mausoleo, una delle sette meraviglie del mondo antico, e beve le sue ceneri. Sofonisba, catturata dal nemico, per non sottostare alla condizione di schiava sceglie di togliersi la vita con una coppa di veleno. Anche Porzia, moglie di Bruto, dà prova di immane coraggio e, alla morte del marito, affronta un suicidio atroce.
Emblema della fedeltà e della pietas è anche Pero, figlia di Cimone, che sostenne in vita il vecchio padre condannato a morire di stenti in carcere, nutrendolo con il proprio latte, di nascosto, e rischiando la vita.
Artemisia con la tazza delle ceneri del marito Mausolo
Giovan Gioseffo Dal Sole- 1654 / 1719
Data
1700 - 1715 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 103 x 85
Proprietà
Crédit Agricole Italia
Collezione
Galleria dei dipinti antichi di Crédit Agricole Italia e della Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena
Collocazione
Cesena - Palazzo della ex Cassa di Risparmio di Cesena
Artemisia, sovrana della Grecia antica, fu moglie di Mausolo, re e satrapo di Caria, regione nell’ovest dell’Anatolia. Alla morte del marito, colpita da immenso dolore, indisse una gara tra i retori greci per la sua celebrazione.
Trattando dell’amor coniugale, lo storico romano Valerio Massimo inserisce la sua biografia tra gli esempi eccellenti di fedeltà estrema, “ardui da imitarsi”. Riporta: “Quanto restasse addolorata Artemisia, regina della gente Caria, per la morte di Mausolo, suo marito, e quanto ardentemente lo amasse, facile è il conoscerlo dagli onori di ogni sorta fattigli; e soprattutto dalla magnificenza del sepolcro, passato perfino ad essere una delle sette maraviglie del mondo. Ma a che serve che mi fermi sopra tante magnificenze, e sul così tanto rinomato sepolcro, s’ella stessa volle essere sepolcro vivente di Mausolo, bevendo, come ci racconta la storia, le ossa di lui ridotte in polvere”.
Nel dipinto, realizzato agli inizi del Settecento da Giovan Gioseffo dal Sole, pittore bolognese allievo di Lorenzo Pasinelli, la regina, con lo sguardo abbassato per il dolore del lutto, tiene delicatamente tra le mani una coppa finemente cesellata e si prepara a ingerire il liquido con le ceneri del marito, certa che nessun altro sepolcro possa essere maggiormente degno benché, in suo onore, avesse fatto erigere ad Alicarnasso il monumento sepolcrale per eccellenza, denominato esemplarmente Mausoleo, una delle sette meraviglie del mondo antico.
Artemisia, Sofonisba, Porzia e Pero
Sofonisba beve una coppa di veleno
Cesare Dandini - 1596 / 1657
Data
1630 - 1640 circa
Tecnica
olio su carta incollata su tela
Dimensioni
cm 55 x 41
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione Alessandro Marabottini della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
La cartaginese Sofonisba è figlia di Asdrubale e moglie di Siface, re dei Numidi che si oppose tenacemente a Roma lottando con ogni mezzo per la sua patria. Nella volubilità degli schieramenti e delle alleanze, Siface finì sconfitto da Massinissa, sovrano berbero che era passato al fianco dell’esercito romano. Questi raggiunse Cirta, capitale della Numidia, incontrò l’indomita Sofonisba e se ne innamorò all’istante. Anche il matrimonio che presto seguì, peraltro disapprovato dal generale romano Lelio, non scongiurò l’ignominia cui Sofonisba era destinata per volere del comandante Scipione, deciso a condurla a Roma, incatenata sul carro trionfale del vincitore di Cartagine. Come riporta Livio nelle sue Storie, a Massinissa non restò, a tutela dell’onore e della dignità della moglie, che farle pervenire la coppa di veleno. Con questo l’eroina si sottrasse stoicamente all’onta della schiavitù.
Anziché la preziosa coppa di metallo del dipinto di Dal Sole, Cesare Dandini mette in mano alla sua Sofonisba un bicchiere trasparente con il veleno. La regolare bellezza del volto si unisce all’ampia, seducente scollatura che mette in mostra il seno della donna amata, il cui sguardo fiero, volto all’osservatore, contrasta con il sentimento di dolore di Artemisia nel dipinto precedente.
Artemisia, Sofonisba, Porzia e Pero
Porzia si ferisce alla coscia
Elisabetta Sirani - 1638 / 1665
Data
1664
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 101 x 138
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collezione
Collezioni d’arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collocazione
Bologna - Casa Saraceni
Altro esempio di donna forte e determinata è rappresentato dalla figura di Porzia, moglie di Bruto e figlia di Catone l’Uticense, che seguì il marito nella morte con un suicidio atroce. Essendole stato tolto ogni strumento di offesa, si diede la morte inghiottendo carboncini ardenti. “Suicidio di esemplare ‘virtù romana’, degno dell’intransigenza di Catone e dell’integrità di Bruto”, ha osservato Melania G. Mazzucco commentando il dipinto di Elisabetta Sirani con Porzia che si ferisce alla coscia, con il quale la scrittrice apre il suo Self-Portrait. Il museo del mondo delle donne (Einaudi2022). La tela di Elisabetta Sirani è di grande interesse e figura tra i capolavori della celebre pittrice, che la eseguì giovanissima nel 1664, all’età di 26 anni, un anno prima della morte.
Oltre a Valerio Massimo, anche Plutarco narra le vicende di Porzia. Questa, accorgendosi che il marito Bruto è preso da preoccupazioni e da pensieri cupi che non intende comunicarle, decide di dare dimostrazione di coraggio e di sopportazione del dolore, dapprima a sé e quindi a Bruto, colpendosi ripetutamente la gamba con un rasoio. Elisabetta Sirani mette in mano alla sua eroina uno stiletto che ha sfilato dalla custodia in cuoio tenuto nella sinistra. Ripetutamente lo abbassa con forza sulla gamba nel pieno controllo delle emozioni e delle stesse espressioni del volto. Ha lasciato le compagne nella stanza alle sue spalle, intente ai lavori domestici, e si è ritirata per mettere alla prova la propria forza d’animo grazie alla quale conquista la piena fiducia di Bruto che pertanto le confida la congiura contro Cesare: “Allhora Bruto spaventato, et alzando le mani al cielo, pregò gli Dei, che riuscendogli valorosamente i suoi disegni, lo facessero riputare marito degno di Porcia”.
Per molteplici ragioni questa pittura si impone ai nostri occhi: la celebrazione del coraggio di un’eroina dell’antica Roma impegnata nella difesa dei valori repubblicani, l’affermazione della forte volontà femminile che ribalta il tradizionale rapporto di subalternità, la qualità artistica di una pittrice del Seicento bolognese, figlia d’arte, che in breve tempo superò la fama del maestro. Il dipinto assunse infatti il valore di manifesto femminista nella pionieristica mostra Women Artists 1550-1950 curata da Ann Sutherland Harris e da Linda Nochlin, nel 1977, nel Los Angeles County Museum of Art.
Artemisia, Sofonisba, Porzia e Pero
Pero e Cimone in carcere, o “Carità romana"
Gian Domenico Cerrini - 1609 / 1681
Data
1660-1680 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 167 x 118
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
Pero mantiene in vita il vecchio padre Cimone, condannato a morire di stenti in carcere, allattandolo segretamente senza farsi vedere dalle guardie. L’immagine della giovane che offre generosamente il seno, cui l’anziano si accosta con desiderio, ha acceso le fantasie morbose della cultura figurativa del Seicento, da Simon Vouet a Bartolomeo Manfredi, Nicolas Régnier, Guido Reni, Mattia Preti, Lorenzo Pasinelli e altri che, al tema suscettibile di interpretazioni erotiche denominato “Carità romana”, hanno dedicato specifiche attenzioni. Un’interpretazione rigorista fu invece quella di Caravaggio che si servì di questo soggetto nelle Sette opere di misericordia del Pio Monte di Misericordia di Napoli per rappresentare due opere di misericordia, cioè “dare da mangiare agli affamati” e “visitare i carcerati”.
Tra i dipinti di R’accolte compare la grande tela di Gian Domenico Cerrini appartenente alla collezione d’arte di Fondazione Perugia, in cui la giovane, un poco spogliata, offre il seno al padre con lo sguardo rivolto altrove per pudicizia o, forse, per controllare l’eventuale apparizione del carceriere. L’incarnato eburneo della giovane, il movimento fantasioso dei panneggi colorati e le pietre sbrecciate conferiscono dignità estetica al cupo ambiente del carcere, grazie anche alla composizione svolta lungo la diagonale.
Artemisia, Sofonisba, Porzia e Pero
Carità romana
Jean Baptiste Wicar 1762 / 1834
Data
1803
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 41 x 30
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
È del tutto esente da finalità voyeuristiche l’invenzione di Jean Baptiste Wicar affidata al piccolo dipinto della collezione d’arte della Fondazione Perugia. Qui il padre, incatenato al polso e quasi morente, disteso nudo nel carcere scavato nella roccia, è tenuto in vita da Pero, che divide il latte tra il vecchio privo di forze e lo sgambettante neonato disteso al suo fianco. Esempio di amore materno e filiale insieme.
Artemisia, Sofonisba, Porzia e Pero
Multimedia
LIBRO: Self-Portrait. Il museo del mondo delle donne
La descrizione del dipinto Porzia si ferisce alla coscia di Elisabetta Sirani apre la pubblicazione di Melania G. Mazzucco “Self-Portrait. Il museo del mondo delle donne” (Einaudi 2022).
Il dipinto Porzia si ferisce alla coscia di Elisabetta Sirani viene esposto, nel 1977, nella mostra Women Artists 1550–1950, curata da A. Sutherland Harris and L. Nochlin presso il County Museum of Art di Los Angeles. Si tratta della prima mostra che mette in esposizione opere di artiste donne della storia, sulla scia del fervore dei movimenti femministi. La mostra verrà ospitata anche presso l’University Art Museum (Austin), il Carnegie Museum of Art Pittsburgh e il Brooklyn Museum (New York).
Le vicende di Sofonisba vengono messe in scena nel film del 1914 “Cabiria”, diretto da Giovanni Pastrone. Il più grande colossal epico-storico della storia del cinema, la cui sceneggiatura fu curata da Gabriele D’Annunzio.
Artemisia, Sofonisba, Porzia e Pero
Cleopatra, l’ultima regina d’Egitto della dinastia tolemaica, è uno dei personaggi più celebri della storia antica. Sovrana, madre, moglie, amante e condottiera, è una donna forte, intelligente, poliglotta e indipendente.
Ottaviano, dopo aver sconfitto per terra e per mare le forze militari di Antonio, amante e alleato di Cleopatra, conquistò Alessandria e fece prigionieri Cleopatra e i figli con l’intenzione di deportarli a Roma ed esporli sul carro del vincitore nel rientro trionfale. Le fonti non concordano sulle modalità del suicidio di Cleopatra, se per veleno o per puntura della vipera velenosa, ma l’iconografia della morte della regina privilegia nettamente quella del morso dell’aspide, cobra egiziano dal veleno mortale. Secondo la narrazione di Plutarco nelle Vite parallele, Cleopatra nel suo ultimo giorno di vita fece visita alla tomba di Antonio e mandò una lettera ad Ottaviano con la preghiera di essere sepolta accanto all’amante. Al termine del banchetto, allontanatisi gli invitati, restò in compagnia delle sole ancelle, Ira e Carmiana, e si fece portare un cesto colmo di fichi, passato indenne al controllo dei soldati. Tra i fichi era celato l’aspide fatale.
I nove dipinti raccolti in mostra, che la vedono protagonista, si concentrano prevalentemente sull’episodio conclusivo della vita.
Suicidio di Cleopatra
Denijs Calvaert - 1540 circa / 1619
Data
1590 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 200 x 205
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collezione
Collezioni d’arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collocazione
Bologna - Palazza Fava, Palazzo delle Esposizioni, deposito
Denijs Calvaert, pittore di Anversa trasferitosi presto a Bologna, dove svolse stabilmente l’attività, declina il soggetto in due celebri versioni. La grande tela appartenente alle Collezioni d’arte e di storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, databile attorno al 1590, presuppone la conoscenza delle Vite parallele di Plutarco: Cleopatra, seduta sul letto suntuoso con le braccia aperte, come la Lucrezia raffaellesca, qui è inclinata lungo la diagonale in maniera conforme ai canoni del manierismo, assistita da due ancelle. Ira è già esanime ai suoi piedi, come riporta Plutarco, immersa nel sonno eterno forse per effetto di un veleno, Carmiana, che la seguirà poco dopo, farà invece in tempo a porre la corona sul capo della regina morente. Due serpi si avvolgono attorno alle braccia di Cleopatra, una delle quali ha iniettato il veleno in prossimità del seno facendo stillare gocce di sangue.
Cleopatra
Suicidio di Cleopatra
Denijs Calvaert - 1540 circa / 1619
Data
1590 - 1610 circa
Tecnica
olio su tavola
Dimensioni
cm 144 x 103
Proprietà
Crédit Agricole Italia
Collezione
Galleria dei dipinti antichi di Crédit Agricole Italia e della Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena
Collocazione
Cesena - Palazzo della ex Cassa di Risparmio di Cesena
In quest’altra versione – eseguita su tavola e appartenente alla Galleria dei dipinti antichi di Crédit Agricole Italia e della Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena – Cleopatra è protagonista assoluta, in primissimo piano, su una suntuosa alcova rivestita di drappi e decorata con vasi preziosi, frange dorate e cascate di perle. Nell’ambiente irrompono le due ancelle, in controluce sul fondo. Come nel precedente dipinto le scene licenziose, dipinte a monocromo sulla base del letto, alludono alla vita lussuriosa della regina, così nella tavola di Cesena la pienezza turgida del corpo, benché ferito dall’aspide che affonda i denti nel seno sinistro, esalta la carica erotica che l’artista desume dai testi del manierismo internazionale. Anche Cleopatra – come la cartaginese Sofonisba – sceglie il suicidio. Ricongiungendosi all’amato, salva l’onore della patria.
Cleopatra
Suicidio di Cleopatra
Domenico Brusasorci - 1515 circa / 1567
Data
1550 - 1560 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 125 x 102
Proprietà
Crédit Agricole Italia
Collezione
Galleria dei dipinti antichi di Crédit Agricole Italia e della Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena
Collocazione
Cesena - Palazzo della ex Cassa di Risparmio di Cesena
Un altro dipinto su tela della Galleria di Cesena, opera emblematica del veronese Domenico Brusasorci eseguita poco dopo la metà del Cinquecento, presenta il medesimo soggetto ulteriormente avvicinato all’occhio nel taglio delle mezze figure. Vi compaiono significative varianti. Il gesto della regina rievoca potentemente la statuaria antica, cui allude peraltro anche la grande tela bolognese, mentre l’aspide punge, in luogo del seno, il braccio sinistro plasticamente sollevato. Accompagna la regina un’unica ancella che protende verso l’osservatore il prezioso vaso cesellato tenuto chiuso. Il biografo greco riferisce infatti di una seconda versione della morte di Cleopatra, secondo la quale l’aspide, anziché avvolto in spire e celato sotto i fichi nel cesto, sarebbe stato “chiuso dentro a un vaso”. La regina “stuzzicandolo con certo fuso d’oro” lo avrebbe irritato, così che questo “surgendo se le appiccò al braccio”.
Cleopatra
Suicidio di Cleopatra
Manifattura urbinate
Data
1530 - 1545 circa
Tecnica
maiolica a smalto
Dimensioni
cm 24
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Perugia "Maioliche rinascimentali"
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
Cleopatra è rappresentata in attitudine dinamica nella maiolica smaltata di manifattura urbinate risalente al 1530-1545 circa della Collezione d’arte della Fondazione di Perugia. Incorniciata da un tendaggio violaceo, si erge nuda su una base circolare, nello schema esemplare del “contrapposto” manieristico: la gamba destra, avanzata, inclina il bacino verso sinistra, il braccio sinistro, in ampia rotazione, sposta lievemente il busto verso destra, mentre la testa, senza forzatura, è rivolta verso il lato opposto. L’elegante torsione alleggerisce la visione frontale. Il braccio destro disteso lungo il fianco regge un’egida con la testa spaventosa della Gorgone in funzione apotropaica, quello sinistro avvicina al seno l’aspide attorcigliato che ha iniettato il fatale veleno. È, quest’ultimo, un dettaglio iconografico che deriva dalla scultura in marmo dei Musei Vaticani che la storiografia individua come una Cleopatra, appunto, oppure come un’Arianna dormiente, copia romana di età tardo-adrianea di un capolavoro della scuola di Pergamo, datato al II secolo a.C. Qui la figura è ornata da un bracciale formato dalle spire di un serpente. L’idea fu ripresa dall’incisore Marcantonio Raimondi che, nella riproduzione di quel marmo, diventato subito celebre, la trasferì nell’altro braccio. Appare anche in una stampa di Jacopo Francia nella quale la figura nuda trattiene due serpenti, uno dei quali si avvolge attorno al braccio prima di morderle il seno. Se ne vede il seguito, nel Seicento, nella celebre Cleopatra di Artemisia Gentileschi della collezione Amedeo Morandotti di Milano. Il risultato non è certo indipendente dall’incisione prodotta da Agostino Veneziano nel 1515, pur considerando le varianti non secondarie introdotte dal ceramista urbinate. Questi ha sostituito l’anfora con lo scudo, ha accentuato la torsione del busto prolungando il movimento del braccio e ha fatto compiere un passo a Cleopatra; ma del tutto corrispondente è la costruzione della figura e coincidente la disposizione del braccio destro che scende fino a sfiorare l’oggetto d’appoggio.
La maiolica da un lato propone l’immagine negativa di Cleopatra tramite l’identificazione con la terribile Medusa, dall’altro ne celebra il coraggioso sacrificio che preserva la dignità regale dalla prevista ignominia della schiavitù. A Ottaviano, infatti, non resterà, nel trionfo romano, che esibire un’immagine dipinta della regina sconfitta.
Cleopatra
Cleopatra
Luca Longhi - 1507 / 1580
Data
1560 - 1570 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 112 x 81
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna
Collezione
Le Collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna e della Cassa di Risparmio di Ravenna S.p.A.
Collocazione
Ravenna - Palazzo della Cassa di Risparmio, Uffici Fondazione
Eseguito da Luca Longhi e appartenente alla collezione della Fondazione e Cassa di Risparmio di Ravenna, il dipinto presenta Cleopatra nell’atto sacrificale. Accompagnata dal cestino dei fichi, è presentata come una figura astratta e allegorica, con lo sguardo verso l’alto, in una nudità casta, e inserita tra elementi architettonici. Nel candore della carne, Cleopatra appare insensibile al morso dell’aspide sul capezzolo.
Cleopatra
Suicidio di Cleopatra
Marco Pino - 1521 /1583
Data
1570 circa
Tecnica
olio su tavola
Dimensioni
cm 110 x 195
Proprietà
Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Monte dei Paschi di Siena
Collocazione
Siena - Palazzo Sansedoni
Nell’ opera del tempo finale del senese Marco Pino, che fa parte della collezione d’arte della Fondazione Monte dei Paschi di Siena, vengono esaltati gli aspetti di provocante sensualità. La regina egiziana, con il corpo inarcato e completamente nudo, è distesa su un drappo rosso e su un cuscino dorato in un paesaggio aperto. L’immagine è di una Cleopatra sfrontata, impudica e seduttrice, con lo sguardo ambiguo verso l’osservatore, incurante del serpentello avviluppato attorno al braccio come un gioiello.
Cleopatra
Cleopatra
Giovanni Francesco Guerrieri - 1589 / 1657
Data
1630-1640 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 58 x 70
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
Collezione
Raccolta di opere d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
Collocazione
Fano - Palazzo Malatesta
Commuove, al contrario, la malinconica espressione della Cleopatra di Giovan Francesco Guerrieri, detto il Fossombrone, nella tela della collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano. Come nell’analogo esemplare già in collezione Volponi e ora della Galleria Nazionale delle Marche di Urbino, la regina tiene delicatamente la serpe e l’avvicina con afflizione alla carne candida risaltata dalla luce chiara e dai netti contrasti; effetti che l’artista marchigiano ha appreso nel secondo decennio del Seicento grazie alla frequentazione a Roma dei pittori caravaggeschi, tra i quali Orazio Gentileschi, quando fu impegnato nella decorazione di palazzo Borghese.
Cleopatra
Suicidio di Cleopatra
Girolamo Brusaferro - 1677 / 1745
Data
1730-1735 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 110 x 160
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio Cariverona
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cariverona
Collocazione
Verona - Palazzo Treves Pellegrini
Conclude la sequenza delle opere raffiguranti Cleopatra l’impressionante dipinto di Girolamo Brusaferro della collezione d’arte della Fondazione Cariverona, databile agli anni trenta del Settecento. Qui un silenzio mortale cala sui corpi esanimi di Cleopatra incoronata e delle due ancelle, Ira e Carmiana, disposte lungo la diagonale tra panneggi e tendaggi, mentre sul fondo i soldati romani irrompono, tardivamente, a tragedia consumata.
Cleopatra
Multimedia
LIBRO: Cleopatra
Livia Capponi nel libro “Cleopatra” (Laterza 2021) restituisce voce alla regina superando l’immagine negativa passata alla storia, di femme fatale e causa della fine della Repubblica, diffusa a partire da Augusto.
TEATRO: Antonio e Cleopatra
La grande tragedia “Antonio e Cleopatra” di William Shakespeare continua, tutt’oggi, ad ispirare la produzione di cinematografica.
“Cleopatra, la regina che sedusse Roma”, Ulisse il piacere della scoperta, Rai Alberto Angela racconta il mondo all’epoca di Cleopatra. Link: https://www.raiplay.it/video/2018/09/Ulisse-Il-piacere-della-scoperta-Cleopatra-la-regina-che-sedusse-Roma-44805a7b-cd7b-42f0-8704-9a60abf78c29.html
FILM: "Cleopatra"
Il film colossal “Cleopatra”, del 1963 diretto da Joseph L. Mankiewicz chiude il genere cinematografico peplum
Cleopatra
Il suicidio è la forma di catarsi dell’incolpevole Lucrezia, l’eroina romana violata da Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo ultimo re di Roma. La nobildonna, moglie di Collatino, non vede altra possibilità di riscatto dall’ignominia che puntare contro di sé il pugnale. Preordina la vendetta convocando il marito e il padre, Spurio Lucrezio, entrambi con un amico fidato. Il corpo senza vita di Lucrezia, mostrato a denuncia della violenza dei re etruschi, incita il popolo alla ribellione. Tarquinio il Superbo si vede costretto all’esilio con le figlie a Cere. Il sacrificio della giovane segna la fine della monarchia e l’inizio della Repubblica.
Suicidio di Lucrezia
Girolamo Marchesi detto Girolamo da Cotignola 1480 circa / 1550 ante o Bernardino Zaganelli doc. dal 1494 / 1519
Data
1530 circa
Tecnica
olio su tavola
Dimensioni
cm 57 x 44
Proprietà
Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
Collocazione
Forlì - Palazzo di Residenza della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì
L’attribuzione della tavola della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì si dibatte tra Bernardino Zaganelli – attivo a Cotignola nei primi decenni del Cinquecento, per lo più insieme al fratello Francesco – e il giovane Girolamo Marchesi, sempre di Cotignola, loro allievo. Il busto dell’eroina è visto frontalmente contro un tendaggio verde scuro, la testa è lievemente inclinata e lo sguardo è rivolto in alto in una sorta di invocazione nel momento stesso in cui la mano, con fermezza, ha affondato la lama nel petto. Il rigido corpetto lascia scoperti i seni ed è ornato con girali ricamati, fili di perle e pietre dure. Il velo trasparente sul capo aggiunge un tocco di grazia alla capigliatura curatissima di trecce e lunghi ricci.
Lucrezia
Giuramento sopra al corpo esanime di Lucrezia
Luigi Ademollo 1764 / 1849
Data
1800 - 1810 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 31 x 23
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione Alessandro Marabottini della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi, Saletta del camino
Prima del sacrificio eroico, Lucrezia preordina la vendetta. Convoca urgentemente sia il padre, Spurio Lucrezio che la raggiunge con Publio Valerio, sia il marito Collatino e un amico fidato, Giunio Lucio Bruto, ai quali confessa la violenza subita. Come si legge in Tito Livio “Ab Urbe condita”, Lucrezia, rivolgendosi al marito in lacrime, implora vendetta: «Il mio corpo è stato violato, il mio cuore è puro e te lo proverò con la mia morte». Databile agli inizi dell’Ottocento, il dipinto neoclassico di Luigi Ademollo illustra il giuramento del padre e dei tre militari sopra il corpo esanime di Lucrezia. Vi si coglie un riflesso del Giuramento degli Orazi di Jacques Louis David (museo del Louvre). Il marito Collatino alza il pugnale insanguinato di cui Lucrezia si è servita per riscattarsi dal disonore, gli altri tendono il braccio per il giuramento. Di qui la rivolta popolare che scaccia i Tarquini e dà origine alla Res publica romana.
Lucrezia
Tarquinio e Lucrezia
Lazzaro Baldi (1623-1703), attr.
Data
1660 circa (?)
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 122 x 176
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione Alessandro Marabottini della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi, Sala del Paggi
A provocare la tragedia della nobildonna era stata la violenza subita, di cui parla Tito Livio in “Ab Urbe condita”. Sesto Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo settimo re di Roma, si era invaghito di Lucrezia, moglie di Collatino, per la sua bellezza e onestà. Approfittando dell’assenza del marito, impegnato in operazioni militari, si introduce nell’abitazione, nella quale era stato ospite. Di notte irrompe nelle stanze di Lucrezia armato di spada facendole violenza tra minacce e ricatti. Il dipinto, recentemente attribuito a Lazzaro Baldi, visualizza la scena: Sesto Tarquinio è entrato nella camera da letto e ha appoggiato la mano, con intenzioni di possesso, sul fianco di Lucrezia che invano tenta di respingerlo con la destra. Più che celebrare le virtù di integrità e fedeltà di Lucrezia, il quadro, eseguito poco dopo la metà del Seicento, mette in risalto l’ambiguità morbosa dell’episodio in penombra con il nudo femminile di schiena disteso sul letto. L’occhio si posa sulla mano del soldato che fa scivolare l’ultimo drappo.
Lucrezia
Lucrezia
Guido Reni (1575-1642)
Data
1635 – 1640 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 98 x 73
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collezione
Collezioni d’arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collocazione
Bologna - Palazzo Fava, deposito
Di pochi anni successiva rispetto alla Lucrezia di Cristoforo Serra è l’interpretazione meno emotiva di Guido Reni in una tela della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, da collocare negli anni finali dell’attività del celebre artista conclusa nel 1642. Parzialmente coperta da un lenzuolo bianco, Lucrezia, nuda, si prepara al suicidio nel segreto dell’alcova. Con la destra raggiunge il pugnale che aveva tenuto nascosto, con la sinistra rimuove il lembo del lenzuolo dalla spalla. Un accordo di bianchi fa risaltare la figura contro lo scuro panneggio violaceo del fondo.
Lucrezia
Suicidio di Lucrezia
Orazio Pompei 1507 circa / 1588/89
Data
1550 – 1560 circa
Tecnica
maiolica modellata, dipinta a smalto
Dimensioni
cm 40 x 26 - piede cm 17,5
Proprietà
Banca Tercas S.p.A.
Collezione
Collezione privata della Fondazione Tercas
Collocazione
Teramo - Palazzo Melatino, piano terra, sale espositive
Il medesimo episodio decora un vaso di farmacia di Orazio Pompei, ceramista di Castelli (provincia di Teramo), realizzato attorno alla metà del Cinquecento, ora appartenente alla collezione d’arte della Fondazione Tercas, a Teramo. Qui l’eroina, rappresentata a figura intera, si erge maestosa sul basso orizzonte di zolle e arbusti. La punta del pugnale ben affilato sfiora il seno destro. Uno spruzzo di sangue ha macchiato la lunga veste azzurra.
Lucrezia
Suicidio di Lucrezia
Cristoforo Serra 1600 / 1689
Data
1630 - 1635 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 130 x 117
Proprietà
Crédit Agricole Italia
Collezione
Galleria dei dipinti antichi di Crédit Agricole Italia e della Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena
Collocazione
Cesena - Palazzo della ex Cassa di Risparmio di Cesena
Precede di poco l’azione violenta il gesto determinato di Lucrezia rappresentato nel dipinto della Galleria dei dipinti antichi di Crédit Agricole Italia e della Fondazione Cassa di Risparmio di Cesena, in cui il cesenate Cristoforo Serra, alcuni anni dopo il rientro in patria dal soggiorno romano al fianco del Guercino, attorno al 1630, offre un’interpretazione spettacolare dell’episodio. Invocando la vendetta per l’oltraggio subìto che non le ha lasciato altra forma di riscatto che la morte, la drammatica Lucrezia dai capelli rossi scomposti ha steso energicamente il braccio destro con il pugnale rivolto contro di sé, pronta al fulmineo gesto mortale dopo l’invocazione agli dei. Costretta tra elementi di architettura astratta e metafisica, stringe con forza nella sinistra la sciarpa violacea che gira attorno all’ampia scollatura.
Lucrezia
Multimedia
LIBRO: Ab Urbe Condida
Tito Livio nel “Ad Urbe Condita liber XXVII” racconta la vicenda di Lucrezia (Cacucci Editore 2017)
LIBRO: Poemetti. Venere e Adone - Lo stupro di Lucrezia
William Shakespeare nei “Poemetti” (Giulio Einaudi editore 2022) riprendere l’episodio dell’antica storia romana raccontandolo dal punto di vista di Lucrezia con grande potenza drammatica.
L’attrice Elena Pellone, in occasione del Shakespeare fringe festival di Verona 2021, si è esibita in una performance drammatica del commovente poemetto narrativo di Shakespeare Lo stupro di Lucrezia. https://skene-veronashakespearefringefestival.dlls.univr.it/edition-2021/shows/shakespeare-rape-of-lucrece/
Camille O'Sullivan, nel 2013, per la Royal Shakespeare Company, esegue “To Kill Myself” da Lo stupro di Lucrezia, con le musiche di Feargal Murray. https://www.youtube.com/watch?v=Vd2ddyYAUIY
Lucrezia
Tra le figure femminili dell’antichità greco-romana rivestono una notevole importanza le Sibille, le cui virtù preveggenti erano tenute in grande considerazione. Consultate nei momenti cruciali dell’esistenza e in occasione di importanti decisioni politiche e di strategiche scelte militari, fornivano a volte responsi oscuri e ambigui. Erano depositarie di saperi antichi e fungevano da tramite per gli oracoli nei templi dedicati ad Apollo. Nel mondo cristiano le loro profezie vennero interpretate come anticipazioni dell’arrivo del Messia. Mescolate ai profeti dell’Antico testamento, compaiono comunemente in dipinti e affreschi che decorano gli edifici religiosi. Numerose sono le loro rappresentazioni nelle collezioni delle Fondazioni di origine bancaria e delle Casse di Risparmio.
Sibilla
Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino - 1591 / 1666
Data
1620 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 69 x 78
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
Collezione
Collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
Collocazione
Cento - Pinacoteca Civica di Cento
Opera esemplare di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino, fa parte della collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento. Si tratta di un dipinto giovanile, riferibile al 1620 circa, e fu commissionato da Jacopo Serra, cardinale Legato a Ferrara.
Sibille
Sibilla Samia
Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino 1591 / 1666
Data
1651
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 115 x 97
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collezione
Collezioni d’arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collocazione
Bologna - Palazzo Fava, deposito
La Sibilla Samia, realizzata in età matura da Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino, è impreziosita dal manto blu oltremare. È da identificare con quella registrata nel libro dei conti dell’artista sotto l’anno 1651, su commissione di Ippolito Cattani. Il suo pendant con la Sibilla Libica, richiesta all’artista dal medesimo Cattani, appartiene da lungo tempo alle collezioni reali inglesi per acquisto del re Giorgio III nel 1760.
Sibille
Sibilla Ellespontica
Domenico Cunego (1727 - 1803), incisione da Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666)
Data
post 1765 - ante 1803
Tecnica
acquaforte
Dimensioni
mm 291 x 227
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
Collezione
Collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
Collocazione
Cento - sede Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
La celebrità delle opere del Guercino spiega la traduzione delle sue Sibille nelle incisioni. Fa parte sempre della collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento l’acquaforte con la Sibilla Ellespontica della seconda metà del Settecento, realizzata da Domenico Cunego su disegno di Giovanni Magnani, con dedica al principe “Abondio Rezzonico Senatore di Roma”, carica da questi ricoperta a partire dal 1765. Si tratta in realtà di un dettaglio della Sibilla Cumana già della collezione di Sir Denis Mahon.
Sibille
Sibilla Persica
Antonio Perfetti (1792-1872), incisione da Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino (1591-1666)
Data
post 1820 - ante 1872
Tecnica
acquaforte
Dimensioni
mm 351 x 175
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
Collezione
Collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
Collocazione
Cento - sede Fondazione Cassa di Risparmio di Cento
Appartenente alle Collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Cento, l’incisione ottocentesca realizzata da Antonio Perfetti su disegno di Giuseppe Ferretti (notizie dal 1826 al 1881) riproduce la Sibilla Persica del Guercino, ora conservata a Roma nella Pinacoteca Capitolina.
Sibille
Sibilla Eritrea
Ginevra Cantofoli (1618-1672)
Data
1650 - 1660 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 121 x 82
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collezione
Collezioni d’arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collocazione
Bologna - Casa Saraceni
La Sibilla Eritrea è oggetto della tela della pittrice bolognese Ginevra Cantofoli, formatasi nello studio della nobile pittura di Guido Reni e dei suoi allievi. Benché maggiore di vent’anni di Elisabetta Sirani, fu colpita dalla precoce maturità della giovane, che frequentò assiduamente tanto da essere inclusa tra le sue allieve dalla storiografia del Seicento.
Sibille
Sibilla Delfica
Marcantonio Franceschini (1648-1729)
Data
1725 – 1729 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 198 x 174
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Reggio Emilia Pietro Manodori
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Manodori
Collocazione
Reggio Emilia - Palazzo del Monte
In questa grande tela del bolognese Marcantonio Franceschini la Sibilla Delfica è presentata a figura intera, con il volto ispirato che guarda verso l’alto. È accompagnata da un angioletto alato che regge una tavoletta e da un altro che con la sinistra trattiene un libro aperto e con la destra offre calamaio e penna alla Sibilla. I classici elementi architettonici alle spalle alludono alla trasmissione della sapienza antica alla nuova età cristiana.
Sibille
Sibilla Samia
Anna Bacherini (1720-1788), attr.
Data
1750 – 1760 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 73 x 60
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione Alessandro Marabottini della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi - Camerini
La Sibilla Samia è rappresentata a mezzo busto con il tipico turbante orientale. L’iscrizione “Nascetur de Paupercula” allude sinteticamente alla predizione della nascita di Gesù “de virgine paupercula”, attingendo a un antico testo medievale.
Sibille
Sibilla Tiburtina
Anna Bacherini (1720-1788), attr.
Data
1750 – 1760 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 72 x 63
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione Alessandro Marabottini della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
Anch’essa riferita dubitativamente alla pittrice fiorentina Anna Bacherini Piattoli, la Sibilla Tiburtina è rappresentata a mezza figura, con un turbante dal gusto orientale, nell’atto di scrivere il proprio nome sul cartiglio in pergamena. Le si attribuisce, al pari della Sibilla Samia, il vaticinio della nascita del Redentore.
Sibille
Sibilla
Lorenzo Pasinelli (1629-1700)
Data
1650 – 1660 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 57 x 48
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collezione
Collezioni d’arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collocazione
Bologna - Casa Saraceni, uffici Fondazione
Chiude la serie delle Sibille antiche un raffinato dipinto giovanile del bolognese Lorenzo Pasinelli, di poco successivo alla metà del Seicento; opera di Lorenzo Pasinelli, allievo di Simone Cantarini e principale pittore bolognese nella seconda metà del Seicento.
Sibille
Sibilla
Alfredo Savini (1868-1924)
Data
1910 - 1911
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 97 x 79
Proprietà
Fondazione Cariverona
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cariverona
Collocazione
Verona - Palazzo Treves Pellegrini
Nel Novecento le figure ermetiche delle Sibille hanno ispirato il pittore bolognese Alfredo Savini, attivo a Verona, il quale in tre dipinti della collezione d’arte della Fondazione Cariverona ha elaborato studi per gli affreschi eseguiti attorno al 1910 nella loggia della villa appartenente alla famiglia Guarienti di Brenzone a Punta San Vigilio, frazione di Garda. Dall’impostazione delle figure e dallo scorcio prospettico si può dedurre l’ispirazione dalle celebri Sibille di Michelangelo nella Cappella Sistina.
Sibille
L’imperatore Augusto e la Sibilla Tiberina
Manifattura urbinate
Data
1530 - 1560 circa
Tecnica
maiolica a smalto
Dimensioni
alt. cm 30
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Perugia "Maioliche rinascimentali"
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
Due opere di genere storico-mitologico dedicate al tema delle Sibille si rintracciano nella collezione della Fondazione Perugia. Una è rappresentata da un versatoio in maiolica a smalto di manifattura urbinate del 1530 circa, con la Sibilla Tiberina che rivela all’imperatore Augusto il prossimo avvento di Cristo; l’altra da un dipinto del Seicento eseguito da Gian Domenico Cerrini.
Sibille
Apollo e la Sibilla Cumana
Gian Domenico Cerrini (1609-1681)
Data
1640 – 1650 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 97 x 133
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
In questo dipinto di notevoli dimensioni, eseguito dal pittore perugino Gian Domenico Cerrini, con Apollo e la Sibilla Cumana, databile verso la metà del Seicento, Apollo, innamorato perdutamente della Sibilla, si dichiara disposto a concederle qualunque cosa pur di conquistarla. La Sibilla, come riporta Ovidio nelle Metamorfosi, chiede in cambio tanti anni di vita quanti i granelli di sabbia che esibisce nel palmo della mano, non immaginando che, in questo modo, si sarebbe condannata a un’eterna, irreversibile vecchiezza avendo tralasciato di salvaguardare, nella richiesta al potente innamorato, l’integrità della propria giovinezza.
Sibille
Multimedia
LIBRO: La Sibilla
La Sibilla di Americo Marconi (Marta Editrice 2016) ci accompagna alla scoperta di questa figura attraverso un viaggio nel mito, fonte di ispirazioni fino ad oggi.
Ciclo di conferenze-video organizzate da La Pinacoteca Nazionale Bologna, nel 2022, su la Sibilla Cumana di Domenichino.
Sibille
Evocazione di una figura primigenia, Eva è presentata nella doppia valenza di negatività e positività. Le si imputano, con la disobbedienza, la frattura di un mondo incantato e l’inizio della fragilità e della corruzione umana, dalla fatica alla malattia, dal dolore alla morte; ma la curiosità di Eva che coglie il frutto e convince Adamo ad assaporarlo è metafora dell’anelito alla conoscenza cui l’intelligenza non può sottrarsi, così come della ricerca che esige coraggio e disponibilità all’esperimento nella consapevolezza del rischio.
Gli artisti hanno celebrato la figura archetipica di Eva, accanto ad Adamo, nella nudità del paradiso: da Masolino a Masaccio, da Bosch a Dürer, da Michelangelo a Tiziano.
Adamo ed Eva
Gavino Tilocca (1911-1999)
Data
1960 – 1979
Tecnica
Bronzo
Dimensioni
cm 66 x 30 x 20
Proprietà
Fondazione di Sardegna
Collezione
Collezione d'arte Fondazione di Sardegna
Collocazione
Sassari - Palazzo della Fondazione di Sardegna
Nell’arco dei secoli, Eva è stata spesso rappresentata in una dimensione iconica al di fuori del tempo e della narrazione, quale mitico capostipite dell’umanità. Fa parte, ad esempio, della collezione d’arte della Fondazione di Sardegna la fusione di bronzo del sassarese Gavino Tilocca (1911-1999), artista del marmo e del bronzo, allievo a Carrara di Arturo Dazzi, in cui le figure dei progenitori, asessuate e viste frontalmente, si compenetrano.
Eva
Adamo e Eva
Serafino Vecellio Mattucci (1912-2004)
Data
1950
Tecnica
maiolica smaltata e dipinta sopra smalto, incassata su piano in gesso a stampo, intonacato
Dimensioni
cm 40 x 31 - solo la targa cm 33,2 x cm 24,8
Proprietà
Fondazione Tercas
Collezione
Collezione privata della Fondazione Tercas “Serafino Mattucci”
Collocazione
Teramo - Palazzo Melatino, primo piano
Sempre frontalmente, ma con il solo busto, Adamo ed Eva compaiono nella maiolica smaltata e dipinta di Serafino Vecellio Mattucci (1912-2004), direttore storico dell’istituto d’Arte di Castelli, conservata nella collezione della Fondazione Tercas di Teramo. All’artista si devono altre due opere della medesima collezione, in cui, al contrario, sono visualizzati narrativamente gli episodi della creazione, della tentazione e della cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre.
Eva
La Genesi. Operazione plastica - La Genesi. Iddio soffiò, e l’uomo fu - La Genesi. Incubazione di Eva - La Genesi. Nascita di Eva
Emilio Lapi (1814-1890)
Data
1885
Tecnica
penna a inchiostro seppia chiaro su carta
Dimensioni
cm 16,2 x 22,6; cm 22,4 x 16,2; cm 22,5 x 16,5; cm 11,4 x 14,5
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra
Collezione
Collezione Rosi e altre opere della Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra
Collocazione
Volterra - Centro Studi Espositivo Santa Maria Maddalena
Nei quattro disegni a penna di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Volterra, realizzati tra il 12 maggio e il 31 agosto 1885 dal fiorentino Emilio Lapi allievo di R. Buonaiuti e di G. Bezzuoli presso l’Accademia di Belle Arti di Firenze, Adamo prende vita dalle abili mani che plasmano la materia e dal travolgente soffio burrascoso di un Padreterno spiritato, Eva dal rigonfiamento del corpo di Adamo e dall’operazione di estrazione compiuta da un Padreterno cui l’artista conferisce l’aspetto di un moderno scienziato sperimentatore.
Eva
Creazione di Adamo ed Eva
Jan Muller (1571 circa - 1628)
Data
1589
Tecnica
bulino
Dimensioni
mm 266
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione Alessandro Marabottini della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi, Cassettiere aula didattica
Nella raffinata incisione a bulino datata 1589, appartenente alla Fondazione Perugia cui è pervenuta tramite la donazione Marabottini, Jan Harmensz Muller (1571-1628), pittore, disegnatore e incisore di Amsterdam che si avvalse di invenzioni di Hendrick Goltzius (di cui probabilmente fu allievo in quegli anni) rappresenta un’immobile Eva elegantissima ed affusolata, creata da un Padreterno che nel moto impetuoso non osa sfiorarla, mentre sul fondo, nel fantastico regno della natura, si intravede la scena della creazione di Adamo. È, quest’ultima, l’argomento specifico di un’altra opera schedata in “R’Accolte”: la maiolica dipinta a smalto da Liborio Grue (1702 – post 1776), esponente di spicco della produzione ceramica Castelli, in Abruzzo, appartenente alla Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo, collezione privata della Fondazione Tercas “Gliubich”.
Eva
Adamo ed Eva nel paradiso terrestre
Manifattura Urbinate
Data
1540 - 1570 circa
Tecnica
maiolica a smalto
Dimensioni
cm 29
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Perugia “Maioliche rinascimentali”
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
La tentazione del diavolo-serpente dalla lunga coda che si attorciglia attorno all’albero ha vinto le resistenze di Adamo nell’archeologica rappresentazione di un piatto urbinate degli anni 1540-1570 circa, appartenente alla Fondazione Perugia. Qui un dio fluviale conferisce all’episodio biblico un’aura classica e paganeggiante insieme; quasi evocazione mitologica della nascita di Adone, generato da Mirna mentre gli dei la stanno trasformando in albero per sottrarla alle furie del padre, cui si è unita con l’inganno.
Eva
Dio scaccia Adamo e Eva dal paradiso terrestre
Giacinto Gimignani (1611-1681)
Data
1650 - 1681 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 114 x 156
Proprietà
Fondazione Caript
Collezione
Collezione Fondazione Caript
Collocazione
Pistoia - Palazzo Buontalenti, Sala Gimignani
Il ravvedimento di Adamo e di Eva è sincero nella grande tela secentesca della Fondazione Caript, già ritenuta della cerchia del veronese Alessandro Turchi e ora del pistoiese Giacinto Gimignani, allievo a Roma di Pietro da Cortona.
Eva
Adamo ed Eva cacciati dal paradiso terrestre
Livio Mehus (1630 circa - 1691)
Data
1670 - 1680 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 50 x 60
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione Alessandro Marabottini della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
La cacciata dei progenitori, imploranti in un pianto dirotto, riempie il quadro del fiammingo Livio Mehus (1627-1691) riferibile agli anni Settanta del Seicento, confluito nella Collezione della Fondazione Perugia grazie alla donazione Marabottini; opera del girovago allievo di Pietro da Cortona, attivo prevalentemente a Firenze, che qui dichiara – specie nella descrizione del paesaggio con gli animali che a loro volta abbandonano il paradiso terrestre con Adamo ed Eva -suggestioni dalla pittura genovese, in particolare dal pennello virtuoso di Giovanni Benedetto Castiglione detto il Grechetto. Il duro lavoro cui i progenitori sono condannati trova invece rappresentazione arcadica nella maiolica dipinta a smalto da Nicola Cappelletti (1691-1767) con Adamo che dissoda il terreno con elegante grazia, di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Teramo (collezione privata della Fondazione Tercas “Gliubich”).
Eva
Cacciata di Adamo ed Eva dal paradiso terrestre
Francesco Furini (1603-1646)
Data
1645 -1646
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 237 x 199
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio Firenze
Collezione
Collezione d'arte della Fondazione Cassa di Risparmio Firenze
Collocazione
Firenze - Auditorium Fondazione Cassa di Risparmio Firenze
Nella scena teatrale orchestrata da Francesco Furini in un dipinto delle Collezioni d’arte dell’Ente Cassa di Risparmio Firenze, pendant dell’analoga tela con Lot e le figlie, prevale il tono drammatico. Sono entrambe opere estreme dell’artista, eseguite tra Roma e Firenze nel 1645-1646 su richiesta del duca Jacopo di Lorenzo Salviati. La coraggiosa invenzione di Adamo visto di schiena e piegato per la minaccia dell’angelo castigatore, in volo con la spada, e la figura elegantemente ellittica di Eva in preda allo spavento modulano la rappresentazione in chiave drammatica, in sintonia con l’impeto visionario e quasi onirico della coeva pittura fiorentina di Cecco Bravo e di Sebastiano Mazzoni.
Eva
Ira di Dio o La cacciata dall’Eden
Angelo Barabino (1883-1950)
Data
1912 - 1914
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 99 x 141
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona
Collezione
Pinacoteca “il Divisionismo” Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona
Collocazione
Tortona - Palazzetto medievale Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona
Sorprende, non senza inquietudine, la coppia nuda dei progenitori quali giganti sulla vasta curvatura della terra, colti nel sonno come innamorati, nella tela della Fondazione Cassa di Risparmio di Tortona eseguita tra il 1912 e il 1914 da Angelo Barabino (1883-1850), pittore divisionista formatosi presso l’Accademia di Brera, allievo e amico di Giuseppe Pellizza da Volpedo e partecipe della cosiddetta Scuola di Tortona, sua città natale.
Eva
Della moglie di Putifarre il libro della Genesi non riporta neppure il nome, ma ciò non ne ha impedito la fortuna iconografica nella pittura e nella scultura tra Cinquecento e Settecento. Nel testo biblico diviene protagonista quando si invaghisce del giovane Giuseppe, che, venduto dai fratelli, si era guadagnato la stima di Putifarre, ufficiale del faraone e capitano delle guardie, il quale gli aveva affidato il governo della casa. Il casto Giuseppe si sottrae con decisione agli inviti espliciti della donna per non tradire la totale fiducia che Putifarre aveva riposto in lui, replicando: «Il mio padrone non mi domanda conto di quanto è in casa, ed ha messo nelle mie mani tutto quello che possiede. Anzi egli stesso non è più grande di me in questa casa, e niente mi ha vietato altro che te, perché tu sei sua moglie».
La padrona si invaghì a tal punto che, un giorno in cui era sola in casa, assicuratasi che non vi fossero testimoni, lo attirò a sé afferrandolo per la veste. Per non cedere alla tentazione, Giuseppe fuggì lasciando nelle sue mani il mantello. Il rifiuto provocò un forte risentimento che si tramutò in odio e in desiderio di vendetta. Di qui la calunnia: la donna accusò di molestie e di tradimento il casto Giuseppe che finì in carcere.
Giuseppe il casto
Pittore veneto (prima metà del sec. XVIII)
Data
prima metà del sec. XVIII
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 173 x 243
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collocazione
Rovigo - Palazzo Roncale
Il dipinto, eseguito da un pittore veneto attivo nella prima metà del Settecento, appartiene ad una serie composta da quattro tele che rappresentano amori illeciti, tutte provenienti dalla monumentale villa Armellini a Polesella e ora di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. L’opera presenta il momento clou dell’episodio. Appartata nella camera da letto, sotto un ampio drappeggio, e sdraiata con un piede poggiato sul pavimento, la giovane esibisce maliziosamente la spalla nuda e lascia intravedere i seni e il corpo seducente attraverso la camicia semitrasparente. La scena teatrale è tuttavia priva di eros e la recitazione assume un ritmo danzante. Non vi è contatto tra i due. Giuseppe con le mani alzate esprime l’innocente illibatezza e volge lo sguardo all’osservatore quasi a volersi appellare alla sua testimonianza. Al centro, la mano ferma della padrona trattiene il mantello rosso quale falsa prova delle molestie del servitore.
Qualche decennio prima, nel 1649, il Guercino aveva trattato il medesimo tema in un dipinto per un collezionista reggiano. Nella luminosità della camera da letto, in una scena concitata e enfatizzata dai riflessi dei drappi di seta, Giuseppe cerca di divincolarsi e con la destra blocca la mano della moglie di Putifarre che tenta di accarezzarlo. Lo sguardo è rivolto altrove ed evita quello della tentatrice seminuda alla cui seducente bellezza non saprebbe resistere. Il dipinto è conservato nella National Gallery di Washington insieme al pendant con Ammon e Tamar, storia biblica di violenza ed incesto in cui Ammon, innamorato della sorella, fintosii malato per essere servito da lei, ma in realtà per abusarla, dopo la violenza la caccia di casa colto dal rimorso e dalla vergogna.
Sono immagini audaci e di seduzione erotica, ispirate alle scritture bibliche, che nel Seicento e nel Settecento erano destinate a una visione privata, per lo più confinate negli spazi intimi dell’abitazione. Il loro grado di licenziosità misura la complicità tra il pittore e il committente/destinatario.
Moglie di Putifarre, figlie di Lot, Betsabea
Lot e le figlie
Simone Cantarini detto il Pesarese (1612-1648)
Data
1640 – 1648 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 131 x 174
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collezione
Collezioni d’arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collocazione
Bologna - Palazzo della Cassa di Risparmio di Bologna
Ha relazioni con il citato episodio di Ammon e Tamar la vicenda torbida, di natura incestuosa, della seduzione di Lot da parte delle figlie. Scampato per volere divino alla distruzione della corrotta città di Sodoma, Lot si trasferì con le figlie nella città di Segor, per poi andare ad abitare sul monte, in una grotta. Nella fuga da Sodoma, la moglie trasgredì l’ordine divino voltandosi verso Gomorra per accertarsi della sua effettiva distruzione tra le fiamme. La mancanza di fiducia la fece tramutare in statua di sale. Approfittando dell’isolamento sul monte, le due figlie di Lot, volendo assicurare la discendenza al padre, per due sere consecutive gli servirono abbondante vino e, a turno, passarono la notte con lui senza che questi se ne accorgesse, né gli restasse memoria della sconveniente unione.
Un simile tema non poteva sfuggire all’iconografia licenziosa dell’età manieristica e barocca. Nel dipinto della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, attribuito a Simone Cantarini, allievo ribelle di Guido Reni, e databile verso la metà del Seicento, la compostezza della scena, con Lot tra le figlie che generosamente gli versano il vino in due calici all’interno della grotta, visualizza l’avvio della narrazione. Il padre, dal busto scoperto e bene eretto, sembra stupirsi, ancor lucido di mente, dell’atteggiamento servizievole delle figlie e volge lo sguardo severo e guardingo come un filosofo sconcertato.
Moglie di Putifarre, figlie di Lot, Betsabea
Lot e le figlie
attribuito a Filippo Abbiati (1640-1715)
Data
fine sec. XVII
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 56 x 73
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collocazione
Rovigo - Palazzo Cezza
Nella tela della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, tentativamente riferita al milanese Filippo Abbiati, l’anziano Lot, dal fisico prestante, è già conquistato dal vino e, inconsapevole, asseconda le insidie delle figlie. Con la coppa si rivolge a quella che tiene l’anfora. Il clima risente della cosiddetta pittura dei Tenebrosi, in auge a Venezia dalla metà del Seicento. La figura del genitore replica i noti modelli di Johann Carl Loth, pittore originario di Monaco di Baviera, il quale, dopo un viaggio giovanile a Roma, trascorse l’esistenza in laguna impressionato dalla forza naturalistica dei dipinti di Giovan Battista Langetti, capo della corrente dei Tenebrosi.
Moglie di Putifarre, figlie di Lot, Betsabea
Lot e le figlie
Francesco Furini (1603-1646)
Data
1645 - 1646
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 238 x 199
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio Firenze
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio Firenze
Collocazione
Firenze - Auditorium Fondazione Cassa di Risparmio Firenze
La rappresentazione del soggetto si fa sottilmente erotica in questa tela della Fondazione Cassa di Risparmio Firenze, eseguita dal raffinato fiorentino Francesco Furini nel 1645-1646 per Jacopo di Lorenzo Salviati, insieme al pendant con la Cacciata di Adamo ed Eva anch’essa della Fondazione fiorentina, opere del suo tempo finale. Nel formato verticale il pittore ha modo di esprimere l’eleganza delle figure femminili dal corpo affusolato, in lenta torsione tra luce e ombra. Lot avvicina il calice alla figlia vista di spalle che governa la grande anfora del vino. La sua testa finisce nella penombra della grotta, ma la luce accarezza la schiena nuda e le gambe scoperte. Sappiamo che l’artista si ispirò alla statua ellenistica della Venere, allora nella villa Medici a Roma, ora nella Galleria degli Uffizi, detta appunto Venere dei Medici, da lui tradotta nella “maniera tenerissima e vaga”. La sorella si accosta in maniera provocante al padre che, già in preda alla smemoratezza, l’attira a sé mettendole il braccio attorno alla vita. L’erotismo viene espresso anche dalla ricerca formale dell’artista: Lot rimane in ombra mentre viene risaltata la bellezza dei corpi femminili. La sensualità della narrazione e la licenziosità dell’episodio sono disciplinate dall’ideale estetico del pittore e dalla sua delicata sensibilità.
Moglie di Putifarre, figlie di Lot, Betsabea
Lot e le figlie
Pittore della prima metà del sec. XVII
Data
prima metà del sec. XVII
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 122 x 96
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
Nella versione con Lot e le figlie della Fondazione Perugia, per il quale è stato pronunciato il nome improprio di Francesco Furini, le figure femminili sono completamente nude, mentre il vecchio padre, rivestito da un’ampia veste scura come un eremita, è talmente inebriato dal vino da aver perso conoscenza della realtà, immerso in un’avventura onirica il cui ricordo è destinato presto a dissolversi. La seduzione è in atto, il vecchio, con l’espressione persa, poggia la mano destra sul corpo nudo della figlia vista di schiena. Con la sinistra stringe la mano dell’altra figlia esibita in un provocante nudo frontale, solo un poco schermato dalle ombre. Le figure sono uscite senza pudore allo scoperto, fuori dalla grotta che appare come una macchia scura alle loro spalle, mentre a destra viene rappresentata la distruzione di Sodoma tra fiamme e fumi, con la piccola figura in lontananza della moglie di Lot mutata in statua di sale.
Moglie di Putifarre, figlie di Lot, Betsabea
Lot e le figlie
Pittore veneto (prima metà del sec. XVIII)
Data
prima metà del sec. XVIII
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 173 x 243
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collocazione
Rovigo - Palazzo Roncale
Dell’impostazione conturbante esibita dal dipinto precedente non vi è traccia nella tela orizzontale della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo eseguita da un pittore veneto attivo nella prima metà del Settecento, che fa serie con altri tre dipinti un tempo ritenuti di Mattia Bortoloni e in seguito riferiti all’ambito di Giovan Battista Pittoni, tutti provenienti dalla monumentale villa Armellini a Polesella e ora di proprietà della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Le tre figure precariamente panneggiate si intrecciano alla luce del sole. Il corpo giovanile del vecchio si protende diagonalmente in un singolare incastro degli arti che esalta la gestualità declamatoria delle figlie, disposte in bilanciati scorci contrapposti. La recitazione segue il ritmo musicale di un melodramma.
Moglie di Putifarre, figlie di Lot, Betsabea
David manda doni a Betsabea
Pittore veneto (prima metà del sec. XVIII)
Data
prima metà del sec. XVIII
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 173 x 243
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collocazione
Rovigo - Palazzo Roncale
Della medesima serie del dipinto precedente fa parte anche questo, che, a sua volta, presenta un amore illecito. Davide, sedotto dalla bellezza di Betsabea, si macchia di una duplice colpa. Il re passeggia sulla terrazza dopo il riposo del pomeriggio e dall’alto osserva a distanza la giovane che si rinfresca nella piscina, restandone ammaliato. La invita a palazzo approfittando dell’assenza del marito Uria, inviato in battaglia. Il desiderio di unirsi a Betsabea, che resta incinta, lo spingerà a schierare Uria in prima fila in un’operazione militare rischiosa che ne provocherà la morte.
Nel dipinto, Davide osserva Betsabea un poco discinta che prende con eleganza, tra due dita, la boccetta di profumi offertale dall’ancella sul vassoio. Il piede destro sfiora l’acqua della grande vasca alimentata dal getto che ricade dalla statua di un putto con cornucopia, in controluce sulla destra. Alle sue spalle il paggio nero di Davide le consegna il foglietto di invito al palazzo reale. Il suo braccio teso indica la piccola figura del re che per lei suona l’arpa sporgendosi dalla lontana terrazza.
Moglie di Putifarre, figlie di Lot, Betsabea
Multimedia
LIBRO: Giuseppe e i suoi fratelli
Nella tetralogia “Giuseppe e i suoi fratelli” (Mondadori 2021), Thomas Mann, ispirandosi alle vicende della Genesi, racconta le vicende di Giuseppe e della moglie di Putifarre. La moglie di Putifarre assume il nome di Mut-em-enet ed è descritta per la sua seducente bellezza: «Con i seni piccoli e sodi, la fine nuca e il dorso, le delicate spalle, le perfette braccia scultoree, le gambe dalla linea nobilmente affusolata culminanti nel trionfo di muliebrità della fastosa regione delle anche e dei glutei, era, per universale riconoscimento, il più bel corpo di donna che si potesse vedere».
“Sodoma e Gomorra” ( 1962), il film diretto da Robert Aldrich e Sergio Leone racconta la storia di Lot e della distruzione della città.
Giuseppe - Il re dei sogni (Joseph: King of Dreams) è un film d'animazione direct-to-video del 2000 della DreamWorks, suo terzo film di animazione tradizionale. È ispirato, con alcune licenze, al racconto biblico di Giuseppe, narrato nel Libro della Genesi, ed è il prequel del film Il principe d'Egitto.
La canzone Hallelujah, scritta e interpretata dal cantautore canadese Leonard Cohen nel 1984, fa riferimento a quanto raccontato nel libro di Samuele, nel quale si narra che Davide e Betsabea.
Moglie di Putifarre, figlie di Lot, Betsabea
Le vicende di Sara e di Agar si intrecciano nel racconto biblico. Sara è la moglie sterile di Abramo che a settantacinque anni consiglia al marito di prendere con sé la giovane serva egiziana Agar per assicurare la discendenza familiare. Agar in effetti resta incinta e, sicura di aver soppiantato Sara, la tratta con sufficienza e disprezzo. Mette al mondo Ismaele che viene adottato da Abramo. Miracolosamente, però, Sara resta incinta nonostante l’età avanzata sua e dello stesso Abramo, ormai centenario, e dà alla luce Isacco. Cedendo al volere divino, Abramo a malincuore acconsentirà al desiderio di Sara di cacciare, insieme ad Agar, il figlio che avrebbe potuto contestare a Isacco i diritti del primogenito. Di mattino presto, Abramo rifornisce Agar di pane, le consegna una borraccia d’acqua e l’allontana con Ismaele verso il deserto di Bersabea.
Agar e Ismaele nel deserto con l’angelo
Simone Cantarini detto il Pesarese (1612-1648)
Data
1635 – 1640 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 59 x 77
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
Collezione
Raccolta di opere d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano
Collocazione
Fano - Pinacoteca San Domenico
Tra i dipinti delle collezioni d’arte delle Fondazioni di origine bancaria che presentano Agar e Ismaele sfiniti, soccorsi dall’angelo, merita di essere ricordato in primo luogo quello della Fondazione Cassa di Risparmio di Fano, realizzato dal pesarese Simone Cantarini, scomparso nel 1648 all’età di 36 anni. L’artista inserisce al centro, sullo sfondo essenziale suddiviso tra la monocroma veduta collinare e il cielo solcato dalle nubi, il corpo nudo di un angelo adolescente che indica ad Agar, priva di forze, appoggiandole delicatamente la mano sulla spalla, la fonte in lontananza per dissetarsi. Rispettando il testo biblico, la donna si trova alla distanza di un tiro d’arco, all’incirca, dall’albero ai cui piedi ha adagiato il fanciullo privo di sensi e gli volge le spalle per non vederlo morire.
Agar
Agar e l’angelo
Attr. a Gian Domenico Cerrini (1609-1681)
Data
1660-1680 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 114 x 181
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione della Cassa di Risparmio di Terni e Narni
Collocazione
Terni - Palazzo Montani Leoni
Nel dipinto della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni, riferito a Gian Domenico Cerrini e un tempo nella Galleria Marletta di Firenze, l’episodio trova rappresentazione in un ospitale ambiente naturale . Il pittore dispone la composizione lungo la diagonale in un progressivo approfondimento dello spazio, sempre riservando all’angelo la posizione centrale.
Agar
Agar nel deserto
Nicola Bertuzzi detto L’Anconitano (1710 circa - 1777)
Data
1740-1760 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 35 x 38
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
Collocazione
Urbino - Galleria Nazionale delle Marche
Nel piccolo dipinto su tela della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, opera di Nicola Bertuzzi detto l’Anconitano, un settecentesco clima d’Arcadia scioglie la tensione drammatica dell’episodio in sentimento lirico. Originario di Ancona, ma formatosi nel clima bolognese dell’Accademia Clementina, il pittore aderisce alla cultura rococò di Francesco Monti, Vittorio Maria Bigari e Giuseppe Varotti. L’immagine diviene luminosa e le figure si fanno lievi grazie alle pennellate stese con rapidità. L’angelo, senza peso, si libra nell’aria e scandisce la profondità dello spazio, segnato in primo piano dal ragazzo ormai morente e, poco oltre, da Agar supplicante. Con la condizione di viandante contrastano le vesti eleganti, proprie di una recita teatrale. In effetti l’angelo dialoga con Agar in un recitativo cantabile e la veduta di paese produce l’effetto di un fondale dipinto.
Agar
Multimedia
LIBRO: “The Woman Who Named God: Abraham's Dilemma and the Birth of Three Faiths”
“The Woman Who Named God: Abraham's Dilemma and the Birth of Three Faiths” (Hachette Book Group 2009), è un libro di Charlotte Abraham che racconta la vita di Agar dalla prospettiva delle tre religioni monoteiste, Musulmana, Ebraica, Cristiana.
Edmonia Lewis, scultrice Afroamericana, ha scolpito Agar in una delle sue opere di maggior successo, ispirata da una forte empatia e solidarietà per tutte le donne che hanno sofferto. La scultura è conservata presso lo Smithsonian American Art Museum a Washington.
“Abramo” film per la regia di Joseph Sargent, interpretato, tra gli altri, da Richard Harris e Vittorio Gassman, con la colonna sonora di Ennio Morricone, racconta della vicenda di Agar e l’angelo.
LIBRO: Reimaging Hagar: Blackness and Bible
Nel libro di Nyasha Junior, “Reimaging Hagar: Blackness and Bible” (Oxford 2019) l’autrice approfondisce un’interpretazione diversa di Agar, come donna nera, in rapporto con la cultura afroamericana.
Agar
Quelle di Sara e di Rebecca sono vicende di lieto fine, per il felice matrimonio contratto con la benedizione divina.
Sara, la figlia di Raguel di Ectaban (nella Media, odierno Iran Occidentale), nonostante la perdita di sette mariti a causa del geloso demone Asmodeo che di lei si è invaghito, si unisce infine con Tobia, figlio di Tobi della tribù di Israele, che la raggiunge in un viaggio guidato dall’arcangelo Raffaele.
Rebecca si sposa con Isacco, grazie ad Eliezer, il servo anziano inviato da Abramo per cercare moglie al proprio figlio, non nel territorio dei Cananei dove la sua famiglia è emigrata, ma nel proprio paese, scegliendo tra la cerchia parentale.
Nozze di Tobia e Sara
Placido Lazzarini (1746 circa - ?)
Data
1768
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 110 x 85
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
Collocazione
Urbino - Galleria Nazionale delle Marche
Tobia, – figlio di Tobi della tribù di Israele, colpito dalla cecità e deportato con la famiglia in Assiria – viene inviato nella Media dal padre a riscuotere un credito presso un parente. Compagno di viaggio è, insieme al fedele cane, l’arcangelo Raffaele che tiene segreta la propria identità rivelandola solo al termine della storia, a missione compiuta, e si spaccia per Azaria, figlio di Anania, uno dei fratelli di Tobi. Lungo il viaggio, mentre si lava i piedi a un fiume, Tobia viene aggredito da un grosso pesce. Il compagno lo convince ad afferrarlo e a estrarne il fiele, il cuore e il fegato in ragione delle loro miracolose proprietà. Giunti nella Media lo informa che dovranno passare la notte in casa di Raguel a Ectaban e gli ricorda i suoi diritti sulla giovane Sara, della quale è il parente più vicino, oltre che, di conseguenza, sull’eredità del padre. Lo induce anche a superare i timori quando Tobia gli riferisce delle sventure matrimoniali della cugina e del rischio mortale cui sarebbe andato incontro qualora l’avesse ottenuta in sposa. Ma il saggio compagno di viaggio lo rassicura.
Presentano la figura di Sara tre dipinti della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro, all’interno della serie di otto dedicati alla storia di Tobia ed eseguiti nel 1768 dall’ecclesiastico Giovanni Andrea Lazzarini, pittore e architetto pesarese, e da suoi collaboratori per la cappella del monastero di San Niccolò di Osimo su commissione di suor Maria Teresa Guernieri. Il primo visualizza le nozze tra Tobia e Sara e fu eseguito da Placido Lazzarini, nipote e allievo di Gianandrea Lazzarini allora attivo con i collaboratori nella decorazione ad affresco del duomo di Osimo. Le mani dei due giovani vengono congiunte dal vecchio genitore di lei, Raguel, seduto tra loro con lo sguardo riconoscente verso il cielo. A sinistra si trova la madre Edna, a destra Azaria, o meglio l’arcangelo Raffaele, dalla veste bianca, le cui ali sono visibili solo all’osservatore esterno. Né manca il fedele cane. Nell’edificio dalle classiche colonne i servitori preparano il pranzo nuziale.
Sara, Rebecca
Arcangelo Raffaele sconfigge il diavolo che tenta Tobia e Sara
collaboratore di Giovanni Andrea Lazzarini (1710-1801)
Data
1768
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 100 x 73
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
Collocazione
Urbino - Galleria Nazionale delle Marche
Il secondo dipinto illustra la rischiosa prova nella camera da letto, tema cruciale della storia e oggetto di un’incisione di Philip Galle del 1610, che fa parte di una serie con figure femminili dell’Antico Testamento, forse non ignota al pittore pesarese. Sara è pudicamente inginocchiata in preghiera accanto al letto, mentre Tobia mette in pratica la raccomandazione di Azaria e getta nel braciere per i profumi il cuore e il fegato del pesce. L’odore sprigionato mette in fuga il demonio, raggiunto in Egitto dal luminoso arcangelo Raffaele che, come si vede nella parte superiore del dipinto, lo immobilizza incatenandolo.
Sara, Rebecca
L’arcangelo Raffaele si svela a Tobi e al figlio Tobia
Giovanni Andrea Lazzarini (1710-1801)
Data
1768
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 210 x 145
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro
Collocazione
Urbino - Galleria Nazionale delle Marche
Un terzo dipinto, conclusivo tanto della serie quanto della narrazione, anch’esso destinato all’altare della cappella del monastero di San Niccolò di Osimo, mette in risalto la figura candida dell’arcangelo Raffaele, qui investito dalla moda neoclassica. Ne è autore in prima persona Gianandrea Lazzarini che sovrintese all’esecuzione dei dipinti per la decorazione della cappella. Tobi ha riacquistato la vista grazie all’applicazione del fiele estratto dal pesce catturato e decide, d’accordo con il figlio, di offrire al suo misterioso compagno, per riconoscenza, la metà dei beni recuperati grazie al viaggio nella Media. A questi alludono l’elegante vaso cesellato in primo piano a sinistra, le monete sul vassoio, i tappeti e i gioielli che traboccano dal baule. L’angelo finalmente rivela la propria identità e punta l’indice verso l’alto. Le ali si rendono visibili a dimostrazione dell’intervento soprannaturale. Tobi si inginocchia toccando il suolo con la fronte. Allo sbalordimento di Tobia si aggiunge la sorpresa della giovane sposa. La madre Anna si affaccia dietro la tenda.
Sara, Rebecca
Rebecca offre da bere a Eliezer
Francesco Maffei (1605 circa -1660), attr.
Data
1650 – 1660 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 44 x 53
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collezione
Collezione Centanini della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collocazione
Padova - Palazzo del Monte di Pietà
Un altro felice matrimonio contratto con la benedizione divina è quello tra i cugini Rebecca e Isacco. Abramo fa giurare a Eliezer, il suo servo più anziano, che cercherà moglie al proprio figlio Isacco. Il servo parte con dieci cammelli e raggiunge Nahor nella Mesopotamia superiore. Si ferma nei pressi di un pozzo in attesa dell’ora in cui le donne si recano ad attingere l’acqua e invoca la divinità augurandosi che la giovane che acconsentirà a dissetare lui e i suoi cammelli sia quella degna di sposare il figlio del suo padrone.
Il bel dipinto della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo dubitativamente attribuito a Francesco Maffei mette al centro la figura di Rebecca, figlia di Batuel, fratello di Abramo, con la brocca d’acqua alla quale Eliezer si disseta con bramosia al termine del lungo viaggio. A sinistra, in penombra, sono rappresentati gli accompagnatori del servo di Abramo in attesa del loro turno. A destra è disposto il gruppo luminoso delle ragazze con i preziosi vasi. Le loro vesti eleganti, che lasciano scoperti i seni, non sembrano adatti al mestiere di pastorelle denunciato dalle due pecore in primo piano.
Sara, Rebecca
Rebecca ed Eliezer al pozzo
Ercole Graziani (1688-1765)
Data
1730 - 1735 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 115 x 153
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collezione
Collezioni d’arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna
Collocazione
Bologna - Casa Saraceni
Dando da bere anche agli accompagnatori e agli stessi cammelli, Rebecca ha superato la prova. Eliezer se ne convince ed esegue prontamente gli ordini di Abramo che lo ha rifornito di gioielli per la futura sposa di Isacco. Nel dipinto della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, opera del bolognese Ercole Graziani, il migliore allievo di Donato Creti, il servo di Abramo consegna infatti a Rebecca, un poco sorpresa, una collana, cui si aggiungeranno i gioielli contenuti nel cofanetto retto dal servitore in attesa e, infine, gli altri omaggi che si vedono nel baule già aperto da un altro accompagnatore in primo piano a sinistra. Importante osservare che la tela, identificata presso una galleria antiquaria parigina, fa serie con altre che celebrano in maniera simile altre figure femminili dell’Antico Testamento, cioè Giuditta con l’ancella e un paggio nella tenda di Oloferne ed Ester che sviene davanti al re Assuero, entrambe di proprietà dell’Opera Pia dei Poveri Vergognosi di Bologna. Si apprende dalla “Storia dell’Accademia Clementina di Bologna” (1739) di Giampietro Zanotti che della serie, allora presso la famiglia Scarani di Bologna, faceva parte una quarta tela tuttora da identificare con “Mosè, che scacciando i pastori, soccorre le fanciulle madianite”.
Sara, Rebecca
Incontro di Rebecca ed Eleazaro al pozzo
Giovanni Battista Tiepolo (1696-1770)
Data
1720 - 1722 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 85 x 129
Proprietà
Fondazione Cariplo
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cariplo
Collocazione
Milano - Palazzo Melzi d’Eril
Tra i dipinti con la storia di Eliezer e Rebecca il capolavoro è senza dubbio rappresentato dalla tela giovanile di Giambattista Tiepolo della Fondazione Cariplo; opera dei primi anni Venti del Settecento che mostra il promettente artista in rapida evoluzione verso la maturità grazie allo studio delle opere di Sebastiano Ricci, come mostrano la luminosità classica e la solennità della composizione, e di quelle di Giambattista Piazzetta, evidente nel contrastato chiaroscuro di eredità secentesca. Rebecca acquista tratti di nobiltà nella posizione elevata dei gradini del pozzo, investita dalla luce che colpisce di spalle Eliezer che le offre una collana di perle. La rappresentazione teatrale prevede, attorno al soggetto principale, figure secondarie con dettagli di efficace resa pittorica, come il bambino seduto sul gradino, la ragazza che si china nel pozzo per prendere l’acqua, la coppia di donne in basso a sinistra che commentano l’avvenimento.
Sara, Rebecca
Giacobbe e Rachele al pozzo
Domenico Fiasella detto il Sarzana (1589-1669) e bottega
Data
1625-1649 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 115 x 144
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia
Collezione
Collezione d’arte della Cassa di Risparmio della Spezia e Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia
Collocazione
La Spezia - Palazzo della Fondazione Cassa di Risparmio della Spezia
Iconografia affine all’episodio di Rebecca ed Eliezer è quella dell’incontro di Giacobbe e Rachele al pozzo. L’acqua è, nei territori aridi come quelli descritti dalla bibbia, simbolo di vita e il pozzo luogo di sosta e di incontri in cui si intrecciano relazioni sociali, accordi economici e promesse matrimoniali. Qui Giacobbe ha tolto la pesante pietra che lo chiudeva e consente alla riconoscente Rachele, accompagnata dalla sorella Lia, di abbeverare il gregge; preludio a una tortuosa vicenda matrimoniale che porterà Giacobbe a sposare prima Lia e infine l’amata Rachele.
Il dipinto, che fino al 2023 l’opera era conosciuto con il titolo di “Rebecca al pozzo”, fu eseguito, come ha confermato Mina Gregori nel 2007, nella bottega di Domenico Fiasella, detto il Sarzana dal paese di origine, pittore attivo a Roma per circa dieci anni, tra primo e secondo decennio del Seicento, e sensibile alla poetica caravaggesca. La sua esecuzione è tuttavia successiva a quel periodo. Pur nell’ingentilimento della scena, non viene meno la disposizione naturalistica dell’artista.
Sara, Rebecca
Vittima di molestie e calunnie è Susanna, la cui onestà e integrità sarà infine riconosciuta. L’episodio dei due giudici e anziani del popolo che la insidiano, narrato nel libro del profeta Daniele, è tra i soggetti più sfruttati dai pittori per gli accattivanti spunti libertini: la bellezza femminile esibita nell’intimità, l’incanto del giardino in cui si svolge l’incontro tra zampilli d’acqua, l’innamoramento segreto dei due anziani che, al rifiuto di Susanna, la ricattano minacciando di accusarla di adulterio. Lo smascheramento della malvagità e la punizione dei calunniatori rendono infine la narrazione appassionante e simile a un romanzo storico.
Susanna e i vecchi
Francesco Stringa (1635-1709)
Data
1680 – 1700 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 93 x 70
Proprietà
Fondazione di Modena
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione di Modena
Collocazione
Modena - Palazzo Montecuccoli
Appartiene alla Fondazione di Modena questo ovale con Susanna al bagno di Francesco Stringa, principale pittore modenese della seconda metà del Seicento e dei primi anni del Settecento, impiegato ufficialmente dalla corte estense. Qui i due giudici in posizione arretrata si accordano sulle modalità per abbordare l’ignara Susanna che si rinfresca alle cascatelle d’acqua, ai piedi di una pittoresca fontana con statue, nicchie, elementi naturali e architettonici. I due anziani si sono introdotti di soppiatto e si fanno avanti approfittando del momento in cui le ancelle, chiusi gli accessi al giardino, si sono allontanate per prendere l’olio e gli unguenti. L’ovale appartiene ad una serie di dipinti celebrativi di figure femminili, quali la Samaritana al pozzo e la Maddalena penitente portata in cielo dagli angeli, anche questi appartenenti alla Collezione d’arte della Fondazione di Modena.
Susanna
Susanna e i vecchi
Manifattura Lazzarotti
Data
1987
Tecnica
maiolica dipinta
Dimensioni
cm 44
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno
Collocazione
Ascoli Piceno - Museo dell’Arte Ceramica di Ascoli Piceno
Un grande piatto moderno della manifattura Lazzarotti, facente parte delle Collezioni d’arte della Fondazione di Ascoli Piceno, ferma l’immagine sulla scena voyeuristica per eccellenza, quella dei due anziani che sbirciano dietro il cespuglio per poi uscire allo scoperto provocando lo sgomento di Susanna, che pudicamente si ritrae. Benché il manufatto risalga alla fine del secolo scorso, l’immagine ha un’origine antica, in quanto il ceramista ha fatto ricorso al dipinto del pittore centese Giovan Francesco Barbieri, detto il Guercino, realizzato da questi in età giovanile, tra il 1617 e il 1618, per il cardinale Alessandro Lodovisi. Il dipinto è visibile nel Museo del Prado a Madrid. Il ceramista ha però introdotto una variante iconografica non secondaria: il turbamento di Susanna. Nel dipinto del Guercino, infatti, la giovane, ignara, non si è ancora accorta della presenza dei due anziani e si comporta naturalmente, intenta a raccogliere l’acqua nella tazza. Uno degli anziani cerca la complicità dello spettatore intimando il silenzio affinché non venga disturbato il momento magico lungamente atteso, come a volerlo coinvolgere nel gioco erotico. Al contrario, il ceramista Paolo Lazzarotti mostra il turbamento di Susanna, rappresentandola come una diva del cinema.
Susanna
Susanna al bagno
Pittore veneto (prima metà del sec. XVIII)
Data
prima metà del sec. XVIII
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 173 x 243
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collocazione
Rovigo - Palazzo Roncale
Il dipinto della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, facente parte della citata serie di quattro tele, prende in esame i tentativi di persuasione dei due anziani e giudici. Uno di questi induce Susanna, con argomenti ricattatori, a concedersi, l’altro passa ai fatti e afferra il lenzuolo, sicuro che alla giovane non resti altra possibilità che subire la violenza. Susanna se ne rende conto e, rivolta all’osservatore, conclude: «Se acconsento, vi è per me la morte, se ricuso, non potrò sfuggire alle vostre mani» (dal libro del profeta Daniele 13, 1-64). Sventando la macchinazione dei due giudici, opta per l’onestà che le procura la condanna a morte, ma salva l’onore. Una scelta che – a differenza dei tragici destini di Lucrezia e di Cleopatra, le quali con il suicidio antepongono la dignità alla vita stessa – porterà al trionfo della giustizia senza costringerla a sacrificare la vita.
Susanna
Susanna e i vecchi
Lucas Vorsterman (1595-1675) incisione da Peter Paul Rubens (1577-1640)
Data
1620
Tecnica
acquaforte
Dimensioni
mm 405 x 386
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo
Collocazione
Rovigo - Palazzo Cezza
È, questa, un’immagine provocante di dichiarato contenuto erotico, la cui genesi risale a Peter Paul Rubens pittore anversese di successo europeo, qui trascritta al bulino nel 1620 dall’incisore Luca Vorsterman. Un esemplare appartiene alla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Susanna, nuda, si rannicchia coprendosi i seni con le mani quale vittima innocente, e si rivolge impotente all’osservatore che assiste al tentativo di violenza. L’immagine è avvicinata all’occhio e i corpi si toccano. Un anziano le accarezza i capelli, l’altro la scopre strappandole, compiaciuto, il lenzuolo.
Susanna
Storia di Susanna
Seguace di Battista Luteri detto Battista Dossi (1490 circa - 1548)
Data
1540 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 67 x 151
Proprietà
Fondazione Estense
Collezione
Collezioni d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara
Collocazione
Ferrara - Palazzo dei Diamanti, sala Pinacoteca
La tela della Fondazione Estense, proveniente dalla collezione Sacrati Strozzi e riferita a un seguace di Battista Luteri detto Battista Dossi, fratello del celebre Dosso Dossi, accompagna rapidamente verso la conclusione della vicenda. In un ampio paesaggio sono rappresentate tre scene in successione temporale, alle quali corrispondono altrettante scansioni spaziali. In primo piano, sulla destra, Susanna, condannata alla lapidazione per adulterio secondo la legge giudaica, è inginocchiata tra gli esecutori della sentenza, ma arriva il giovane Daniele che dichiara la sua innocenza e riporta la causa in giudizio. Nella scena successiva il giovane è seduto tra i rappresentanti del popolo e, con astuzia, smaschera i due giudici infedeli che, interrogati separatamente, forniscono testimonianze contraddittorie. Poco oltre, sullo sfondo di una città, la loro lapidazione.
Susanna
Multimedia
LIBRO: Susanna e i vecchioni
“Rembrandt, Susanna e i vecchioni. Natura e poetica dell’anima nell’arte del Seicento, quando anche il mito si specchia” (Lulu PR 2019), di Valter Vennelli, riporta cenni iconografici relativi alla produzione del Cinquecento e Seicento sulla vicenda di Susanna
“Il capolavoro perduto di Artemisia Gentileschi esposto al Castello di Windsor”, Rainews
“La Susanna, oratorio per musica”, Alessandro Stradella, Genova 1681.
Susanna
Se la rettitudine morale di Susanna la vince sulla morte, la coraggiosa determinazione della profetessa Debora libera gli ebrei dalla soggezione ai Cananei e assicura quarant’anni di pace ai territori di Israele; l’atroce impassibilità di Giaele sconfigge il nemico Sisara, mentre le trame di seduzione, l’astuzia e il coraggio violento di Giuditta mettono in fuga gli Assiri e salvano la città di Betulia dall’assedio.
Accomuna le tre eroine il forte temperamento, che, unito alla fredda determinazione, le spinge a subordinare la stessa sopravvivenza al felice esito della missione di salvatrici della patria.
Debora invia il generale Barac contro l’esercito di Sisara
Francesco L’Ange (1675-1756)
Data
1720 - 1735 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 230 x 150
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini
Collocazione
Rimini - Palazzo Buonadrata
Debora, unica donna tra i giudici biblici, risolve le questioni all’ombra della sua palma, ma si rivela soprattutto stratega militare quando ordina a Barac di raccogliere sul monte Tabor diecimila guerrieri per la spedizione contro Sisara, generale dell’esercito cananeo. Barac acconsente solo se Debora lo accompagnerà nella rischiosa campagna. Di qui la predizione della profetessa: «Sì, verrò anch’io con te, ma la gloria dell’impresa non sarà più tua, perché il Signore darà Sisara nelle mani di una donna» (Libro dei Giudici 4, 9). Questo serrato dialogo è al centro del grande dipinto della Fondazione Cassa di Risparmio di Rimini eseguito dal pittore savoiardo François L’Ange, attivo dapprima a Torino e poi, definitivamente, a Bologna, dove entra nella Congregazione degli Oratoriani. La destinazione originaria del dipinto era la “Casa del Conte Lucatelli da S. Marino in Bologna”, dove si abbinava a un altro altrettanto grande del medesimo artista con “Achior che dà notizia ad Oloferne dello stato de’ Cittadini di Betulia”. La profetessa è seduta sotto un albero grande e rigoglioso. Poggia la destra su un libro, verosimilmente un codice, mentre con la sinistra indica il Monte Tabor in lontananza. Il generale si tocca il petto in segno di accettazione e tende il braccio destro verso di lei imponendole quale condizione la partecipazione alla spedizione militare. Di qui il ruolo eroico di Debora nella sconfitta di Sisara.
Debora, Giaele, Giuditta
Giaele e Sisara
Pier Francesco Guala (1698-1757)
Data
1737 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 82 x 66
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria
Collocazione
Alessandria - Palatium Vetus
Il generale nemico in fuga si ripara nella tenda di Giaele, la quale finge di volerlo proteggere. In realtà la donna gli procura, nel sonno, la morte atroce descritta con sadica grazia nel dipinto della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria di Pier Francesco Guala, protagonista della cultura figurativa piemontese nella prima metà del Settecento. Giaele ha appoggiato il piolo sulla tempia di Sisara e con il martello sollevato è pronta a conficcarglielo trapassando il cranio fino a inchiodare il malcapitato al terreno. Come preannunciato dalla profetessa, Barac irromperà nella tenda quando la mano femminile ha già procurato la morte al generale nemico.
Debora, Giaele, Giuditta
Sansone e Dalila
Guala Pier Francesco (1698-1757)
Data
1745 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 82 x 66
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria
Collocazione
Alessandria - Palatium Vetus, Salone Consiglio
Nella collezione della Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria il quadro Giaele e Sisara ha un pendant del medesimo Pier Francesco Guala, con analoga figura femminile simmetricamente impostata, ma di segno opposto. Accomuna entrambe la strategia della simulazione, di cui, nel testo biblico, parla il libro dei Giudici. Come Giaele inganna Sisara in fuga dopo la sconfitta, invitandolo nella tenda per poi eliminarlo, così Dalila si finge innamorata di Sansone per neutralizzarne l’indomabile forza dopo avergli carpito, con la seduzione, il segreto. Ma Giaele si propone la liberazione del popolo di Israele dalla soggezione a Jabin, re dei cananei, mentre Dalila consegna l’ingenuo Sansone nelle mani dei filistei, oppressori degli ebrei, dopo avergli reciso, nel sonno, i capelli che governano la sua forza.
Debora, Giaele, Giuditta
Sansone e Dalila
Pietro Sigismondi (seconda metà Sec. XVI – 1624)
Data
1606
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 152 x 132
Proprietà
Banca del Monte di Lucca S.p.A.
Collezione
Collezione d'arte della Banca del Monte di Lucca S.p.A. e della Fondazione Banca del Monte di Lucca
Collocazione
Lucca - Palazzo del’ Opera di Santa Croce , Sala Presidenziale Banca
L’episodio di Sansone e Dalila è ben descritto, a figure intere, nell’ammirevole dipinto della Banca del Monte di Lucca con Dalila che, guardando malinconicamente l’osservatore, taglia i capelli, appunto, a Sansone addormentato sulle sue ginocchia; opera firmata e datata 1606 dal pittore lucchese Pietro Sigismondi presente a Roma negli anni in cui la cultura caravaggesca appassionava i grandi collezionisti. Vi si coglie un naturalismo nobilitato dall’educazione toscana per il richiamo ad artisti quali Santi di Tito e Ludovico Cardi detto il Cigoli.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta e l’ancella nella tenda di Oloferne
Francesco Furini (1603-1646)
Data
1631 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 199 x 256
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio Firenze
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio Firenze
Collocazione
Firenze - Auditorium Fondazione Cassa di Risparmio Firenze
Giuditta, una delle figure femminili più celebri dell’Antico Testamento, è la liberatrice della città di Betulia, ridotta allo stremo dall’assedio dell’esercito degli Assiri comandato dal generale Oloferne. In compagnia della domestica Abra, si fa aprire le porte della città abbandonando le vesti vedovili per altre molto sontuose. Come riporta il Libro di Giuditta, «si fece bella da invaghire ognuno che la guardasse». Fu presto circondata dai soldati assiri che assecondarono il suo desiderio di incontrare Oloferne e la scortarono fino all’accampamento, dove conquistò la fiducia del generale ammaliandolo con la sua bellezza, oltre che con un discorso tanto saggio quanto astuto. Il quarto giorno viene invitata a cenare con lui e con i suoi compagni in un banchetto nel quale scorre molto vino. Quando Oloferne resta solo, disteso sul letto in preda all’ebbrezza, Giuditta fa uscire la domestica dalla tenda, stacca la scimitarra dalla lunga lamo ricurva e, afferrata per i capelli la testa del generale, con due colpi decisi la stacca dal busto e l’avvolge in un telo del letto. Uscita dalla tenda, infila il trofeo nella bisaccia dell’ancella Abra, insieme alla quale si allontana verso il corso d’acqua nella valle di Betulia senza dare sospetto, con il pretesto delle preghiere. Come nel Libro dei Giudici per il caso di Sisara ucciso da Giaele, così in questo viene riconosciuto a una donna il merito di aver salvato il popolo di Israele e di aver sconfitto il suo nemico: «Il Signore l’ha colpito per mano d’una donna».
Tra le raffigurazioni di Giuditta presenti nelle collezioni delle Fondazioni di origine bancaria prende un certo risalto la grande tela di Francesco Furini della Fondazione Cassa Risparmio di Firenze, eseguita attorno al 1630, versione di dimensione maggiore dell’analogo esemplare della Galleria Nazionale d’Arte antica di palazzo Barberini a Roma, entrambe frutto di collaborazione tra maestro e allievi come ha osservato la critica. Il corpo nudo di Oloferne decapitato è riverso sul letto. Gli spruzzi di sangue hanno sporcato il lenzuolo bianco, e il braccio penzolante sfiora il terreno. Giuditta, con le vesti scomposte, distoglie lo sguardo e indica all’ancella la testa rotolata a terra. La rappresentazione ambigua dell’eroina un poco discinta non sembra dare credito alla giustificazione fornita da questa al suo popolo, quando, di ritorno dalla rischiosa impresa, volendo risparmiare a sé “vergogna e disonore”, afferma di aver provocato la rovina di Oloferne con la sola bellezza del proprio volto e di non aver ceduto alle sue lusinghe.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta e Oloferne
Gian Domenico Cerrini (1609-1681)
Data
1650-1665 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 122 x 170
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Perugia
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
Nella tela di Gian Domenico Cerrini, appartenente alla Collezione d’Arte della Fondazione Perugia, l’eroina ha eccezionalmente deposto l’inseparabile spada che la contraddistingue e afferra con entrambe le mani, per la folta capigliatura, la testa del generale. Il volto, dall’espressione dolce, volge altrove lo sguardo che non regge all’orrore del truculento spettacolo.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta e Oloferne
Jacopo Negretti detto Palma il Giovane (1544-1628)
Data
1600 - 1610 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 100 x 123
Proprietà
Banca del Monte di Lucca S.p.A.
Collezione
Collezione d’arte della Banca del Monte di Lucca S.p.A. e della Fondazione Banca del Monte di Lucca
Collocazione
Lucca - Palazzo dell’Opera di Santa Croce
Di taglio scenografico è l’invenzione elaborata da Jacopo Negretti detto Palma il Giovane nella tela della Banca del Monte di Lucca, anche per effetto dell’intensità cromatica della tavolozza veneziana. Lo scorcio del corpo di Oloferne è ardito e la narrazione si fa dinamica. Giuditta afferra per i capelli la testa del generale, che l’ancella è pronta ad accogliere nel sacco, ed esce rapidamente di scena gettando l’ultimo sguardo al corpo inerte della vittima disteso nel pallore mortale. Nella partizione della scena ritorna il ricordo dell’affresco di Michelangelo nella cappella Sistina. In un analogo svolgimento orizzontale, la composizione presenta a sinistra le due figure femminili erette e accostate, a destra lo scorcio del corpo nudo e disarticolato di Oloferne, cui Giuditta, vista di schiena, volge la testa.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta e Oloferne
Johann Michael Lichtenreiter (1705-1780)
Data
1735 – 1745 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 49 x 40
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia
Collocazione
Gorizia - Palazzo Fondazione Carigo
Il macabro spettacolo della testa mozzata di Oloferne regola la composizione del dipinto di Johann Michael Lichtenreiter (1705-1780) con Giuditta e la servente, appartenente alla Fondazione Cassa di Risparmio di Gorizia. Il pittore originario di Passau, allievo del padre al pari del fratello Franz, ha fermato l’attimo in cui Giuditta infila nel sacco della servente la testa del generale che risulta incorniciata dalle braccia a forbice dell’eroina e dalla lama della spada, sporca di sangue. L’appartenenza al tempo giovanile del pittore, attivo a Gorizia per oltre quarant’anni a partire dalla metà degli anni Trenta, spiega la crudezza della scena il cui luminismo contrastato risente della tradizione veneziana della pittura oramai dimenticata dei cosiddetti ‘Tenebrosi’. Furono i tratti crudeli ed il contesto notturno rischiarato da bagliori di luce artificiale ad assicurare, insieme agli effetti teatrali, la fortuna al soggetto iconografico. Questa tela fa serie con altre due del medesimo artista, una delle quali con Davide vincitore su Golia e l’altra con Sansone che si è vendicato per la morte della moglie e si disseta con la mascella d’asino appoggiandosi al mucchio dei cadaveri dei filistei.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta e Oloferne con l’ancella Abra
Girolamo Scaglia (1620 circa - 1686)
Data
1650 -1660 circa
Tecnica
Olio su tela
Dimensioni
Cm 124 x 162,5
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca
Collezione
La Raccolta d’arte della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca
Collocazione
Lucca - Complesso di San Micheletto
Nel bel dipinto della Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca una sorta di rammarico sembra cogliere Giuditta, quasi pentita del gesto crudele compiuto per volere divino. Uscendo all’aperto con la servente che lascia intravedere il trofeo nel sacco semiaperto e quasi trasparente, l’eroina, come in un melodramma, volge lo sguardo compassionevole all’interno della tenda addobbata da un’esuberante panoplia militare composta da bandiere, tromba e pezzi d’armatura. Il pittore dai tratti gentili risparmia all’osservatore la visione atroce del corpo decapitato del generale. Ne è autore il lucchese Girolamo Scaglia attivo nei decenni centrali del Seicento, che qui offre un esempio emblematico dei suoi quadri da stanza.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta con la testa di Oloferne
Giovanni Antonio Pellegrini (1675-1741)
Data
1710-1720 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 110 x 92
Proprietà
UniCredit S.p.A.
Collezione
Quadreria ex Rolo Banca 1473, ora UniCredit Art Collection
Collocazione
Bologna - Palazzo Magnani
Ogni risvolto raccapricciante è bandito dalla tela settecentesca di proprietà di Unicredit Art Collection, esposta nella sede di palazzo Magnani a Bologna; opera del veneziano Giovanni Antonio Pellegrini che rifugge da ogni drammatico contrasto di luce. Sparisce il corpo decapitato e la testa di Oloferne scivola discretamente nel sacco dell’ancella, in basso a sinistra, in uno scorcio che toglie identità e quasi sfugge all’osservatore, preso dall’incarnato pallido dell’eroina, dal ricercato turbante e dalle vesti di raso bianco. La spada ripulita non reca tracce di sangue e il soggetto è esorcizzato da ogni residuo di violenza. Giuditta, eroina controvoglia, è colta da un sentimento di mestizia.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta e l’ancella
Antiveduto Grammatica (1570/1571-1626)
Data
1620 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 107 x 135
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione della Cassa di Risparmio di Terni e Narni
Collocazione
Terni - Palazzo Montani Leoni
Il dipinto della Fondazione Cassa di Risparmio di Terni e Narni illustra il proseguo della vicenda in un contesto figurativo convenzionalmente caravaggesco. È riferito ad Antiveduto Grammatica e rappresenta Giuditta con la spada in pugno, elegante nei costumi di primo Seicento, di ritorno nella città di Betulia da lei liberata in compagnia della fedele domestica Abra. Questa scopre leggermente la cesta di vimini per mostrare il macabro trofeo, a dimostrazione del successo della spedizione. Le due figure camminano contro lo sfondo neutro, tagliato diagonalmente dall’ombra caravaggesca.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta e l'ancella mettono la testa di Oloferne in un sacco
Francesco Mazzola detto Parmigianino (1503-1540)
Data
1525-1530 circa
Tecnica
Acquaforte
Dimensioni
mm 157 x 89
Proprietà
Fondazione Cassa di Risparmio di Parma e Monte di Credito su Pegno di Busseto
Collezione
Fondazione Cariparma
Collocazione
Parma - sede Fondazione Cariparma
Di altro genere è la presentazione della figura di Giuditta nella piccola e raffinata acquaforte di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino, ritoccata al bulino, di cui un esemplare è presso la Fondazione Cariparma. Il foglio, che include altre sette incisioni dell’artista, rappresenta un unicum in quanto in esso sono presenti la metà dei soggetti incisi dall’autore. È databile verso la fine degli anni Venti del Cinquecento. Nell’acquaforte non viene meno il carattere narrativo, grazie all’ancella Abra che riceve nel sacco la testa di Oloferne. La solennità e l’immobilità dell’eroina conferiscono all’immagine un forte valore simbolico ed emlematico, cui concorre il risalto della sciabola sollevata.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta con la testa di Oloferne
Agostino Carracci (1557-1602), attr.
Data
1580 circa
Tecnica
olio su tela
Dimensioni
cm 109 x 83
Proprietà
UniCredit S.p.A.
Collezione
Quadreria ex Rolo Banca 1473, ora UniCredit Art Collection
Collocazione
Bologna - Palazzo Magnani
Il dettaglio della spada sollevata ritorna anche nella pittura lucente di Unicredit Art Collection esposta in Palazzo Magnani a Bologna; opera di singolare iconografia che replica un dipinto di Lorenzo Sabatini tramandato da un’incisione di Agostino Carracci. La sua qualità pittorica è tale da aver suggerito alla critica, quale autore, dopo il nome di Lorenzo Sabatini, quello dello stesso Agostino nel tempo iniziale. La “Iuditha casta” ha portato a termine la missione. Contro lo sfondo macabro del torso di Oloferne che spruzza sangue, la figura di Giuditta si rivolge immobile all’osservatore avendo posato ordinatamente sul piano decorato del tavolo la testa del generale dai riccioli curatissimi, descritta nei minimi dettagli, e lo specchiante elmo metallico.
Debora, Giaele, Giuditta
Giuditta con la testa di Oloferne
Giacomo Mancini di Tommaso detto El Frate (notizie 1541-1554)
Data
1530 - 1550 circa
Tecnica
terracotta a smalto
Dimensioni
cm 41
Proprietà
Fondazione Perugia
Collezione
Collezione d’arte della Fondazione Perugia “Maioliche rinascimentali”
Collocazione
Perugia - Palazzo Baldeschi
Assume un valore emblematico, per la spoglia essenzialità, l’immagine dell’eroina dipinta nell’incavo del grande piatto in terracotta smaltata di proprietà della Fondazione Perugia, provvisto di tesa con motivi geometrici e grotteschi. L’opera è riferita a Giacomo Mancini di Tommaso detto El Frate, personalità di spicco nella produzione di maioliche a Deruta. La figura eretta di Giuditta è rappresentata frontalmente, nuda con un mantello corto sulle spalle; tiene salda nella sinistra la testa penzolante di Oloferne e solleva verticalmente, con la destra, la sciabola. Sullo sfondo un paesaggio basso e un’ampia distesa di cielo sinteticamente accennati da strisce di colore azzurro. Si tratta di un’immagine corrispettiva a quella del giovanissimo Davide che ha sconfitto Golia con un tiro di fionda e fa ritorno con la grossa testa mozzata e l’abnorme scimitarra.
Debora, Giaele, Giuditta
Multimedia
Flaminia Gennari Santori, direttrice delle Gallerie Nazionali di Arte Antica, Palazzo Barberini e Galleria Corsini a Roma, propone la sua lettura di Giuditta e Oloferne di Caravaggio, Raiplay
"La Giuditta, oratorio in due parti", di Alessandro Scarlatti (1660–1725), è stata eseguita dall’ensemble Cappella Neapolitana e diretta da Antonio Florio nella basilica di San Paolo Maggiore, in occasione dell’inaugurazione della Stagione 2019/2020 della centenaria Associazione Alessandro Scarlatti.
“Giuditta e Oloferne” è un film del 1956 per la regia di Fernando Cerchio.
Debora, Giaele, Giuditta