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Luglio 2022

Bentivoglio Scarpa Natalino detto Cagnaccio di San Pietro – 1897/ 1946
L’alzana
1926
olio su tela
cm 200 x 173

collocazione:
Venezia (VE) – Sede della Fondazione di Venezia
proprietà:
Fondazione di Venezia

L’Alzana del Cagnaccio

La luce è quella di un sogno. Nitida, quasi metallica e iperreale. Lo spazio è una banchina a ridosso del mare in una prospettiva innaturale. La scena è immobile, incantata, immersa in una magica sospensione, ma il lavoro di traino dei due giovani è tensione muscolare, è fatica al limite della sopportazione, non è illusione. Lo strumento di lavoro è l’alzana, la fune che serve a trainare il barcone galleggiante, un lavoro più da animali da tiro che da uomini, un lavoro svolto solo da chi è al limite della miseria. Il verismo esasperato della resa attenta dei muscoli rigonfi, dei tendini tesi, delle vene affioranti si fonde in uno scenario metafisico di innaturale staticità.

Presentata nel 1926 alla XV Esposizione Internazionale d’Arte della città di Venezia, L’Alzana si qualifica come un punto cardine nel cammino artistico di Cagnaccio, che proprio nella sua produzione di questi anni affronta più volte soggetti di ispirazione sociale. Cagnaccio di San Pietro nasce a Desenzano nel 1897. Studia all’Accademia di Venezia con Ettore Tito, pittore accademico, ma presto si avvicina alle avanguardie partecipando, negli anni Dieci, alle mostre di Ca’ Pesaro, con Gino Rossi, Tullio Garbari e Felice Casorati.

L’esatta durezza del segno, il colore dalle gelide fluorescenze, il verismo dei tratti fisionomici affondano le loro radici nel linearismo del Quattrocento veneto; mentre la resa oggettiva della realtà, che corrisponde a una realtà intima e morale, mostra affinità elettive con la corrente pittorica di quegli anni, il “Realismo magico”. Con i due giovani Cagnaccio ci racconta di uno sforzo che diventa vano poiché il peso da portare è troppo grande, il barcone infatti rimane immobile. Il lavoro preso per disperazione si incastra nel giro delle fatiche e delle illusioni: l’artista sembra rimandare alla metafora della vita in cui l’affanno e la fatica non sono trasferibili e ,nonostante l’impegno, si rischia di rimanere lì, fermi nell’inutile sforzo.

Ma sono giovani. Per loro c’è sempre un’altra strada da percorrere per progredire, per cambiare. I giovani riescono a sognare, a immaginare il cambiamento qualsiasi sia la loro condizione; riescono ad accettare le proprie debolezze, l’impegno non ripagato, gli sforzi vanificati. I giovani sono capaci di guardare avanti e ripartire.