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Dicembre 2022

Gianni Berengo Gardin, 1984
Trento, campo nomadi
stampa ai sali d’argento b/n
cm 25×37

collocazione:
Castello di Rivoli Museo d´Arte Contemporanea – Galleria Civica d´Arte Moderna e Contemporanea di Torino
proprietà:
Fondazione CRT

 

Trento, campo nomadi

Il mio lavoro non è assolutamente artistico e non ci tengo a passare per un artista. L’impegno stesso del fotografo non dovrebbe essere artistico, ma sociale e civile”. Gianni Berengo Gardin di origini veneziane, ma milanese di adozione, definisce così il ruolo del fotografo. A conferma delle sue parole sono il suo lavoro e la scelta di essere innanzitutto osservatore puntuale della realtà, della sua fisionomia e delle sue trasformazioni. La sua macchina fotografica scruta infatti il mondo degli emarginati, dei lavoratori, degli zingari, del sud d’Italia, dei malati di mente e la condizione della donna. Inizia la sua carriera di fotografo nel 1954, scegliendo di lavorare da allora esclusivamente con la pellicola, e sempre in bianco e nero. Sui nomadi ha realizzato diversi reportage vivendo anche per diversi giorni nei campi, credendo con passione nella fotografia come documento e come testimone di realtà sociali.

Nella foto, lo specchio appoggiato alla rete divisoria riflette l’immagine per intero del violinista e ci conduce nel resto del campo nomade con altre baracche e con i suoi occupanti. È un campo chiuso, delimitato, e anche il profilo dei monti all’orizzonte ne sottolinea il confine. Lo zingaro violinista di profilo in primo piano sembra avere una personalità a sé rispetto alla sua stessa immagine riflessa: più cupo è lo sguardo, concentrato nella malinconia della sua musica, chiuso nel suo essere; la proiezione del suo riflesso nello specchio sembra invece affermare la consapevolezza e l’orgoglio della sua condizione; egli sembra volere, almeno con la musica, oltrepassare il campo e essere considerato semplicemente per quello che è, un uomo. Una ragazza appoggiata alla rete con gli occhi in tralice si abbandona alle note e ai suoi pensieri. Poco oltre due bambini seduti sembrano attendere il loro turno per potersi esibire e provare anche loro a “fuggire” nello specchio. La maestria del gioco a contrasto dei bianchi e dei neri esalta l’armonia compositiva e il significato dell’immagine e ci restituisce, sulle note del violino zigano, quella “disperata allegria” evocata più volte da Berengo Gardin nei suoi reportage sui campi nomadi.